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Judo

Storie Olimpiche: Maestro Uchida, 101 anni e una promessa da mantenere

Questa è la storia di un Maestro, di un giovane judoka e di una promessa.

Nel 2016 Yoshihiro “Yosh” Uchida fa una promessa al judoka statunitense Colton Brown, subito dopo che Brown gareggia con la squadra olimpica americana ai Giochi di Rio: qualificati per Tokyo 2020 e io ci sarò.

Partecipare alle Olimpiadi di Tokyo avrebbe chiuso un cerchio per Uchida. Figlio di immigrati giapponesi, cresciuto in California, è il coach della Nazionale di judo USA ai Giochi del 1964, quando questo sport fece il suo debutto olimpico nella sua madre patria. Inoltre, da più di 70 anni è il direttore del programma judoistiko della San Jose State University, sempre in California.

Nel 2016 Uchida ha 96 anni. Sarebbe stato un centenario alla successiva cerimonia di apertura. Di solito le persone della sua età non fanno progetti con quattro anni in anticipo. Ma Uchida festeggia il suo centesimo compleanno nell’aprile del 2020 e acquista il suo biglietto per il Nippon Budokan per mantenere la parola data.

Il COVID-19 fa posticipare i Giochi di un anno. E di nuovo, Uchida, nel 2021, è pronto ad intraprendere il lungo viaggio per vedere Brown, almeno fino alla notizia che il pubblico è bandito dalla maggior parte degli impianti olimpici.

Un pugno allo stomaco che preclude quella che sarebbe stata la degna conclusione dell’attività judoistika internazionale di Uchida. Cinque anni dopo la sua promessa a Rio de Janeiro, Uchida viene bloccato a migliaia di chilometri di distanza, a casa, nel nord della California, mentre Brown, il diciasettesimo dei suoi pupilli della San Jose a partecipare alla gara regina, è salito sul tatami mercoledì 28 luglio nei 90kg.

“Sarò incollato alla tv” aveva dichiarato Uchida “nonostante sia tardi”.

0730 Colton BrownBrown, nato nel New Jersey, conobbe Uchida nel 2009 quando, teenager, arrivò alla San Jose. Uchida era quasi novantenne, ma i due entrarono subito in sintonia.

“Sono arrivato alla San Jose e pensavo di sapere tutto” racconta Brown “ mi ha insegnato che non sapevo granché”.

Brown va nell’ufficio di Uchida quasi ogni giorno. Mangiano spesso insieme. Parlano non di judo ma di vita. Di istruzione, per preparare Brown al giorno in cui il judo sarebbe stato il suo passato.

Sul tatami, Brown aiuta ad accrescere il dominio della San Jose a livello nazionale, contribuendo a fare della San Jose la scuola più titolata di sempre in qualsiasi sport americano.

Brown è stato tre volte campione nazionale. Diventa capitano della squadra (scelto da Uchida) e si diploma nel 2015. L’anno successivo è in Brasile a rappresentare gli Stati Uniti, con Uchida tra la folla. Vince il primo incontro ma perde il secondo e viene eliminato.

Quest’anno Brown è uno dei quattro americani, l’unico uomo.

“Sapere che Mr. Uchida non sarà qui, ma comunque mi starà guardando, in un certo senso è come se fosse con me” dichiara Brown “averlo su questa terra per tutto questo tempo, coerente a tal punto da interessarsi ancora a me e supportarmi, significa il mondo per me!”

Brown non vede Uchida da prima della pandemia. Avrebbe dovuto partecipare ai festeggiamenti per i cento anni nell’aprile 2020 prima che venissero annullati e ora progetta di vederlo dopo le Olimpiadi.

Uchida non ha ancora messo la spunta a tutti i suoi progetti. Sta lavorando per organizzare un programma di scambio con le università giapponesi. Non si conoscono le tempistiche ma lui vorrebbe vedere i suoi sforzi diventare realtà prima di compiere 110 anni. Brown non ci metterebbe la mano sul fuoco.

“Non sapevo se sarebbe stato ancora qui dopo il 2016, ma c’è ancora” dice Brown “è ancora scalpitante. Ha vissuto una vita spettacolare e continua. Continua alla grande”.

 

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Chi è Yoshihiro Uchida

Per il suo centesimo compleanno più di 120 persone si sono riunite in una videochiamata su Zoom, mentre per il centunesimo è stato organizzato un barbecue con una quindicina di persone nel suo giardino.

“Quest’uomo non morirà di COVID-19” sostiene il suo assistente “morirà di noia se non riprenderà la vita sociale”.

Uchida nasce in California nel 1920, due anni dopo che la più mortale pandemia della storia moderna colpì il Paese. Suo padre coltivava fragole e pomodori. Sua madre lo manda a judo quando aveva 10 anni. 

“Ero un Nisei (ndr, un bambino giapponese nato in un Paese straniero), nato negli Stati Uniti” racconta Uchida “e lei voleva che io imparassi qualcosa della cultura giapponese”.

Frequenta la San Jose prima di essere mandato a combattere nella Seconda Guerra Mondiale e spedito nei campi militari di segregazione nel Midwest, mentre la sua famiglia viene divisa tra i campi di prigionia giapponesi. Serve per quattro anni e sposa sua moglie, Mae, nel campo di prigionia di Poston, in Ariziona, nel 1943.

“I miei genitori erano nei campi di concentramento perché sospettati di essere delle spie” spiega Uchida “I miei genitori avevano un basso grado di istruzione. Non sapevano niente di spionaggio”.

Ritorna alla San Jose nel 1946, si laurea in scienze biologiche, e ci rimane l’anno successivo per allenare la squadra di judo.

Negli anni, grazie al suo infaticabile spirito, diventa l’ambasciatore del judo negli Stati Uniti, e porta ancora avanti il suo programma storico alla San Jose, 70 anni dopo essere stato assunto.

Uchida è un uomo di corporatura piuttosto piccola, ca. 1,57m per 61kg, ma la sua presenza fuori dal tatami si fa sentire anche a livello internazionale.

Si batte per l’implementazione delle categorie di peso in questo sport, un passo necessario per l’inserimento alle Olimpiadi, e contribuisce alla svolta in campo internazionale. Per il suo lavoro riceve dal Governo Giapponese sia l’Ordine del Sacro Tesoro (ndr, onorificenza conferita a chi ha svolto un lungo e meritevole servizio nel proprio campo) che l’Ordine del Sol Levante (ndr, primo ordine cavalleresco dell'Impero del Giappone).

Nel 1964 è l’allenatore dei quattro judoka che rappresentarono gli Stati Uniti alle Olimpiadi di Tokyo.

 

Sarebbe stato bello rivedere Uchida al Budokan quest’anno, ma la pandemia ancora in corso ha precluso questa possibilità. Non ci resta che sperare in un'altra promessa.

 

Fonte di riferimento: Los Angeles Times (articolo originale in lingua inglese).