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Judo

FENOMENI - Michele tra aikido, judo, teatro, sake e radio

Chi ha sostenuto gli esami di graduazione nella nostra regione alcuni anni fa si ricorda di lui per le lezioni sulla storia del Giappone, chi ha partecipato ai criterium si ricorda di lui per averlo visto col cappello di Babbo Natale ad una tappa finale e a mostrare l'arte dello scrivere gli ideogrammi giapponesi. 
Michele Marolla è una di quelle persone che già da queste poche righe capiamo avere in sé un mondo fatto di tante diverse passioni, probabilmente spinto anche dalla curiosità, caratteristica fondamentale dei nostri "Fenomeni".
Abbiamo quindi deciso di farci raccontare direttamente da lui come sono nati questi suoi amori per cose che a volte possono sembrarci anche distanti anni luce tra loro.

Sei una persona dalle mille passioni, qual è la prima ad averti colpito tra quelle che coltivi ancora oggi?
Sicuramente l’Aikido. Ho conosciuto quest’Arte Marziale nel 1972 ed è stato un colpo di fulmine. Per un periodo non ho potuto praticare, vista la mancanza di insegnanti a Trieste, ma poi ho ripreso e ancora oggi sono regolarmente sul tatami per cercare di condividere la mia esperienza con chi ha interesse ad avvicinarsi a questa bellissima disciplina.
Non ho citato il judo perché ormai da tre anni ho abbandonato la pratica attiva, anche se ora sto elaborando un’iniziativa dedicata ai ragazzi nella quale ho inserito alcuni esercizi base, utili a sviluppare equilibrio e coordinamento. Non ne posso ancora parlare perché tutto è ancora in stato embrionale, ma magari tra qualche mese potrebbe essere interessante ritornare sull’argomento.

È arrivato prima l’interesse per il Giappone o per il judo? Come si sono sviluppate nel tempo?
Il “primato” spetta al Judo. Avevo assistito a una dimostrazione nell’estate del 1971 e mi sono subito entusiasmato per quanto avevo visto. Qualche mese dopo mi sono iscritto a un corso tenuto dal maestro Pietro Ragno e non ho più smesso. L’interesse per il Giappone è stato conseguente. All’inizio era una cosa latente, ma con il tempo è diventato un’esigenza. Ritengo che un buon judoka non possa esimersi dal cercare di conoscere e approfondire le radici dell’arte che sta praticando, è una cosa che deve andare oltre al semplice concetto di “voglio vincere una medaglia”. Con questo spirito ho voluto visitare la nazione e conoscere il popolo che ha creato il judo, cercare di capire cosa c’è dietro questa disciplina, com’è nata, come si è sviluppata, quali le ragioni storiche e culturali. Nel 1999 ho coronato il mio sogno e sono arrivato nella terra del Sol Levante per “respirarne l’aria”, e da qui mi si è aperto un mondo meraviglioso, tutto da scoprire e da coltivare.
In più c’è da dire che nel 2013 mio figlio si è sposato con una ragazza giapponese di nome Amako ed è andato a vivere in un piccolo paesino tra Tokyo e Kyoto dove ha aperto un caffè-ristorante che ha chiamato Miramar. Sei mesi fa hanno avuto una bellissima bambina che hanno chiamato Noemi e di conseguenza sono diventato nonno… e son soddisfazioni!

Hai pubblicato un libro fotografico sui tuoi viaggi nel paese del Sol Levante, vuoi raccontarci qualcosa in merito?
Il mio primo viaggio in Giappone è datato ottobre 1999, l’ultimo gennaio 2020. Complessivamente ci sono stato 12 volte e con me ho sempre portato una macchinetta fotografica con la quale ho cercato di memorizzare luoghi, persone ed eventi. Approfittando del tempo libero dato dalla pandemia e dal recente pensionamento sono andato a rivedere i miei circa 15.000 scatti e, sollecitato anche da mia moglie, ho pensato fosse una buona idea raccogliere i migliori e pubblicare un libro di fotografie da lasciare poi agli amici come testimonianza di emozioni e ricordi che per me sono stati importanti. Per presentare il libro abbiamo anche organizzato un’interessante mostra con 22 delle oltre 270 immagini presenti nel libro, selezionando le più significative, e raccontato ai visitatori una storia fatta di tradizioni, costumi e colori. 

Sei anche un esperto di teatro e di sakè, giusto?
“Esperto” è una parola grossa. Recitare è una cosa che ho sempre fatto fin da piccolo grazie alle scenette attorno al fuoco messe in scena con il gruppo scout. Nel 2007 ho avuto l’occasione quasi casuale di entrare in una compagnia teatrale triestina e da lì è esplosa un’altra grande passione. Con soddisfazione ho esplorato la commedia dialettale con dei ruoli anche da protagonista, il musical, l’operetta, lo sceneggiato televisivo e il cinema per arrivare addirittura a Shakespeare con una particina in “Sogno di una notte di mezza estate” che farò a Milano nel prossimo ottobre. In questo campo non sono sicuramente un’eccellenza, ma mi impegno parecchio e soprattutto mi diverto moltissimo, che poi è la cosa più importante.
Il sakè è una cosa differente. È legato alle tradizioni giapponesi che, oltre a studiare, ho provato a toccare con mano (con la bocca in questo caso) e praticare. L’esperta qui è mia moglie; io mi sono aggregato portando a termine con risultato positivo un corso di sakè-sommelier scoprendo i segreti della produzione e della degustazione del famoso “alcol giapponese”.
Vorrei anche dire che la ricerca delle tradizioni mi ha portato alla pratica e conseguente conoscenza della calligrafia giapponese (shodo), della cerimonia del tè (sado, chado o cha-no-yu della scuola omote-senke) e dell’arte della disposizione dei fiori (ikebana della scuola Ohara). Studio, inoltre, la Storia e l’Arte del Giappone organizzando i miei viaggi per approfondire sempre di più questi argomenti visitando luoghi, botteghe artigianali, mostre e musei con itinerari ogni volta diversi e costruiti “ad hoc” per questo scopo.

E oltre a tutto ciò che è inerente al Giappone, hai avviato una tua stazione radio! Com’è nata? Che cosa trasmetti?
Innanzitutto, la Radio non è mia. Si chiama Radio City Trieste, trasmette solo in streaming ed è stata aperta da un gruppo di amici senza alcuna finalità di lucro, ma solo per potersi divertire trasmettendo buona musica, io ci sono arrivato per caso. Mi avevano chiesto un’intervista per uno spettacolo teatrale nel quale recitavo nella parte di… San Pietro, da lì è emerso un mio passato di DJ nelle prime radio libere degli anni ’70 e mi hanno chiesto se mi sarebbe piaciuto collaborare con loro. Un po’ titubante ho accettato e ho ideato una trasmissione settimanale di due ore che ho chiamato “Il MichelAngolo” nella quale propongo musica italiana (non sempre) con un tema, un’opera o un cantante ogni volta diversi. Vista la mia proverbiale necessità di approfondimento racconto tutto quello che trovo sull’argomento, vita e carriera del cantante, significato e contesto delle canzoni, aneddoti e via dicendo. È sempre un lavoro di ricerca e preparazione, e le soddisfazioni non mancano. Una per tutte: l’intervista che ho potuto fare a Francesco Guccini nella sua casa di Pavana e che ho poi trasmesso in quella che ho chiamato “Maratona Guccini”, una serie di dieci puntate nelle quali ho passato tutte le canzoni del Maestrone raccontando di lui e della sua vita, personale e artistica.
In questo momento sto presentando l’opera di Andrew Lloyd Webber e il suo Jesus Christ Superstar aggiungendo la traduzione di tutte le liriche e raccontando aneddoti sugli interpreti e sulla produzione dell’omonimo film. Sto dando inoltre spazio, con interviste e ascolti, a tutta una serie di cantautori sconosciuti o dimenticati dai più, ma che sono incredibilmente bravi e meriterebbero una visibilità maggiore.
Ecco, la Radio è un’altra attività che mi diverte fare.

C'è un filo rosso che trovi in tutte queste passioni che coltivi? Qualcosa che le collega l'una all'altra?
La curiosità e la voglia di divertirsi scoprendo cose nuove. Da appassionato Dantista chiudo con una doverosa citazione: “fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e conoscenza”.

Spesso nelle nostre vite ci lamentiamo di non avere mai abbastanza tempo per fare una cosa anziché l'altra, eppure se veramente desideriamo qualcosa, il modo per ottenerla arriva. 
Michele è la prova vivente che non siamo fatti di un'unica essenza, ma siamo piuttosto degli specchi dai mille riflessi diversi, dove ognuno va a comporre la nostra persona. Dimentichiamo che se vogliamo imparare o coltivare qualcosa, dobbiamo per forza escludere a priori tutto il resto. Impariamo da persone come Michele ad essere la massima espressione di noi stessi.