Le antiche Olimpiadi (XI)

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Roma 16 luglio 2020 Pubblichiamo oggi un nuovo avvincente racconto storico narrato dall’arch. Livio Toschi, nella sua veste di storico della FIJLKAM. Buona lettura!

Le gare di Olimpia

All’inizio i Giochi avevano un carattere soltanto locale e il programma agonistico di Olimpia rimase a lungo molto più povero rispetto ai giochi disputati sulla spiaggia di Troia in onore di Patroclo (cantati da Omero nell’Iliade) e di Achille (descritti da Quinto di Smirne nelle Postomeriche).
Diciamo subito che la partecipazione agli agones era un fatto strettamente individuale e i giochi di squadra non furono mai introdotti e nemmeno presi in considerazione. Richard Mandell ha precisato che «nella concezione greca di gara atletica non rientravano quell’assoggettamento della volontà individuale, quel rigido insieme di regole e quello stesso concetto di fair play che hanno reso possibile i giochi di squadra».
Nelle prime 17 edizioni dell’antichità si svolsero solo gare di corsa: lo stadion (600 piedi, ossia 192,27 metri) dalla I Olimpiade alla XIII (728 a.C.); dalla XIV si aggiunse il diaulos, ossia un doppio stadion (alla fine del primo stadio si girava intorno a un palo chiamato kampter, percorrendo al contrario i secondi 600 piedi); dalla XV il dolichos, o corsa di resistenza (misurava 24 stadi). Solo nel 708 a.C. (XVIII Olimpiade) entrarono nel programma la lotta e il pentathlon. Il pancrazio, un misto di lotta e pugilato, esordì addirittura nel 648 a.C. Lotta, pugilato e pancrazio si disputavano lo stesso giorno.
Era il vincitore dello stadion a dare il nome all’Olimpiade, anche perché – come ho detto – nelle prime 13 edizioni fu l’unica gara. Nel 420 a.C., scrive Tucidide, l’onore toccò invece al pancraziaste Androstene di Menalo.
Omero definì Achille “piè veloce”, evidentemente ritenendo questa virtù fisica assai importante. Inoltre, Norman Gardiner ha scritto che secondo Senofane di Colofone si apprezzava più la velocità dei piedi che la forza, ma la maggioranza delle statue di Olimpia e degli epinici di Pindaro e Bacchilide non era dedicata alla corsa, bensì agli sport di combattimento. Omero chiude in parità la questione con le parole di Laodamante, figlio del re Alcinoo e vincitore della gara di pugilato ai Giochi dei Feaci: «Io non so per l’uom gloria maggiore / che del piè con prodezza e della mano / mentre in vita riman, poter valersi» (Odissea, libro VIII).

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2. Anfora al Metropolitan Museum
Si distinguevano due classi di età: i fanciulli (paides), da 12 a 18 o 20 anni, e gli adulti (andres), oltre i 18 o 20 anni. A volte la ripartizione degli atleti non era semplice, non esistendo certificati di nascita o documenti d’identità; spettava pertanto agli ellanodici stabilire “a vista” se un concorrente poteva competere tra i paides. Solo nel 632 a.C., comunque, i giovani furono ammessi per la prima volta a gareggiare a Olimpia.

2. anfora
Pausania ci narra due episodi che riguardano la valutazione dell’età. Nel 468 a.C. Feria di Egina fu giudicato troppo giovane per gareggiare nella lotta, ma si ripresentò quattro anni dopo e vinse proprio tra i paides. Il lottatore Nicasilo di Rodi, invece, non ammesso alla gara dei giovani in un’Olimpiade che ci è ignota, s’impose tra gli adulti. Lo stesso aveva fatto il pugile Pitagora di Samo nel 588.
A Istmia, a Nemea e alle Panatenee di Atene fu introdotta la classe intermedia degli “imberbi” (ageneioi); a Sparta le classi erano ben quattro. Il passaggio da una classe di età a quella superiore si chiamava prosbasis.

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All’epoca le prestazioni non si potevano paragonare a quelle ottenute altrove: pensiamo al tempo impiegato in una corsa (anche per la diversa lunghezza dei vari stadi). Gli atleti, pur confrontandosi sempre hic et nunc, si distinguevano con primati che definiremo “di qualità”. Nella lotta, per esempio, si tramandava il ricordo di un successo ottenuto per il ritiro degli avversari (akoniti = senza polvere) o senza essere mai caduto a terra (aptos) o non avendo mai usufruito di un sorteggio favorevole (anephedros). Nel pugilato sarebbe stato un grande vanto concludere un’Olimpiade o addirittura la carriera senza ferite (atraumatistos). Altri appellativi encomiastici erano periodonikes (vincitore dei 4 principali giochi panellenici), monos kai protos («unico e primo») e protos anthropon («primo tra gli uomini»). Venivano inoltre esaltati gli atleti che nella stessa Olimpiade vincevano lo stadio, il diaulo e l’oplitodromia, oppure la lotta e il pancrazio. Capro di Elide, che nel 212 a.C. s’impose nella lotta e nel pancrazio, fu definito deuteros aph’Erakleous, ossia il primo mortale dopo Ercole a riuscire nell’impresa.
Al sofista e retore Ippia di Elide (morto nel 490 a.C.) si deve il primo elenco di olimpionici, l’Olympionikon anagraphe, in seguito aggiornato da Aristotele, da Filocoro di Atene (IV-III secolo a.C.), da Flegonte di Tralle (II secolo d.C.), da Sesto Giulio Africano (II-III secolo) e dal vescovo Eusebio di Cesarea (III-IV secolo).

Didascalie

In copertina: Les Jeux Olympiques, di Jean-Pierre Saint-Ours, olio su tela (1783-1799) – Musée d’Art et d’Histoire, Genève

1. Corsa veloce su anfora a figure nere del Pittore di Eufileto (530 a.C.) – Metropolitan Museum, New York

2. Corsa di resistenza su anfora a figure nere del Gruppo del Vaticano (500 a.C.) – Ermitage, San Pietroburgo

3. Lo stadio di Olimpia misurava circa 212,50 x 29,50 metri (192,27 metri tra le linee di partenza e di arrivo)

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