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Judo

Quattro chiacchiere con Marco Caudana tra progetti, idee e prospettive

Nel 2016 Marco Caudana, insegnante tecnico torinese, aveva realizzato un bel progetto, proponendo il “Il piccolo grande libro del judo”, un manuale allegro, colorato e ricco di spiegazioni tecniche e dettagli storici, adatto a un pubblico giovane, ma molto apprezzato anche da lettori più agèe. Ora, partendo da quel testo, gli piacerebbe realizzare uno strumento didattico digitale, ancora più al passo con i tempi, che riesca a catturare l’attenzione dei bambini e a diffondere la filosofia del judo a tutto tondo, andando oltre il mero aspetto tecnico, per spaziare su tutto ciò che l’universo judo ha da offrire alla società.

Quando hai iniziato a elaborare questo progetto?

È un’idea che ho maturato nel tempo: mi sarebbe piaciuto già da tempo averla realizzata, ma ho bisogno anche delle persone adatte per poterla concretizzare, non è sempre facile e quindi sono in una continua ricerca per poter sviluppare le cose al meglio. Il libro infatti è nato non in un giorno, ma in un percorso di anni, studiando anche altri libri, perché, ovviamente, non ho inventato nulla, ho solo preso e riadattato, secondo i giorni nostri, quindi rendendolo un po’ più fruibile ai ragazzi di oggi. E l’idea è di migliorarlo ancora, perché con la tecnologia i bambini e i ragazzi sono sempre più in contatto con cellulari, smartphone, tablet, computer, la rete… e quindi renderlo multimediale potrebbe essere la carta vincente in un futuro prossimo.

Pensi che sia possibile con una modalità così attuale allargare la platea degli spettatori? Avvicinare cioè anche chi del judo non sa nulla alla nostra disciplina e permettergli di appassionarsi?

Sì, assolutamente! Ho anche altri progetti che sto sviluppando insieme a figure importanti del territorio italiano di judo. Ovviamente non posso parlarne adesso, un po’ per scaramanzia, un po’ anche per correttezza nei confronti di chi sta realizzando questo progetto. Comunque l’idea è proprio questa, secondo me, non tanto appassionare chi già fa judo, ma farlo conoscere anche a chi non ha la possibilità di praticarlo, non l’ha mai visto e, un po’, togliere anche il mito che il judo sia fatto solo ed esclusivamente di gare e competizioni. Far capire anzi che il judo è una filosofia di vita, un modo per crescere in maniera sana.

Quanto pensi sia fattibile il proposito di inserirlo nelle scuole?

Secondo me è fondamentale che il judo riesca a entrare nelle scuole! Ci sono diversi progetti attivi sul territorio italiano, ma a mio avviso non sono così vincenti, perché si fa difficoltà a entrare all’interno delle amministrazioni, sia pubbliche, sia scolastiche private, perché manca una formazione alla base di tecnici che siano in grado di proporlo a un pubblico che non abbia mai fatto judo. Quindi siamo molto forti nella parte agonistica, dove insegniamo delle tecniche per poter vincere, ma, secondo me, un po’ meno forti nella promozione del judo come filosofia di vita anche a un ragazzo che non ha possibilità di fare attività sportiva. Quindi l’obiettivo è rendere un po’ più l’arte marziale non come disciplina sportiva, ma come disciplina di vita.

Per te cos’è il judo?

Per me è stato ed è tanto, perché mi ha dato la possibilità di conoscere delle persone, ma, soprattutto, è un modo di vivere. Nasco da una famiglia normale, che, alla base, aveva alcune regole di vita fondamentali, che ho ritrovato poi nel mondo judo. O forse il judo mi ha portato a riscoprire le regole che avevo in famiglia. Per cui, per me il judo è la normalità in questo momento.

Parliamo dello Skorpion Stage: che livello c’era quest’anno e che cosa hai trovato e cosa vorresti portare un prossimo anno?

È da parecchi anni che faccio parte del camp dello Skorpion: ho iniziato quand’ero un ragazzino e infatti guardavo proprio nel libro dello Skorpion le mie foto di quando ero negli anni ’95-’96… ritrovarmi poi qui da docente è emozionante! Ho avuto l’opportunità di lavorare negli anni sia con le parti Junior che Cadetti e poi sono diventato un po’ più un riferimento nella parte pre agonista. Sicuramente il livello di judo espresso è ottimo. Ma quello che salta all’occhio è il sorriso che si vede sul viso dei ragazzi e il clima che si respira, che è meno improntato, forse, alla parte agonistica/competitiva, ma è più improntato verso la parte educativa, che non riguarda solo il comportamento, ma proprio il judo. Nello scoprire il judo, nel fare judo, nel conoscere le tecniche e perché vengono fatte.

Di progetti vedo che ne hai tanti, ti manca forse soltanto il tempo di metterli in pratica.

Sì, io penso che la mia filosofia sia proprio che un tecnico non può essere tale tutta la vita, perché con i giovani devono stare a contatto i giovani e quindi la mia idea di judo è piuttosto formativa. Vorrei poter lasciare qualcosa a qualcuno che nel tempo possa svilupparla, renderla migliore e insegnare lui. Ad oggi, il sogno che posso avere è di un domani potermi togliere il judogi di dosso con il sorriso e vedere gli altri insegnare.

Non sei uno di quelli che dicono “morirò sul tatami”?!

No, assolutamente no! Sono consapevole del fatto che non calcherò il tatami ancora per tantissimi anni, però è giusto anche essere riconoscenti a quello che il judo ha dato e c’è un momento in cui bisogna essere anche capaci di dire basta, sia quando si è atleti sia quando si è tecnici.

Quindi non credi che ci sia una fase di judo per tutti o, meglio, esiste una fase adatta per stare sul tatami e una per stare giù dal tatami e bisogna saper scegliere?

Secondo me sì, bisogna saper scegliere. Non è detto che un grande Maestro, non so, di 60 o 70 anni, possa salire sul tatami, ma, a mio avviso, potrà dare dei consigli un po’ più educativi, di principi di tecnica, ma l’esecuzione, secondo me, dev’essere fatta da giovani, che siano in grado di esprimersi nel modo migliore, non solo sportivamente, ma anche da un punto di vista educativo: far vedere sì, ma anche saper parlare, dialogare; con i tempi che cambiano anche l’evoluzione della parola, del gesto, il modo di comunicare è in continua evoluzione. Sarebbe bello che i giovani imparino da quei vecchi e si facessero portatori della loro esperienza sul tatami.

Secondo te i metodi, per così dire, di una volta, sono ancora validi oppure non possono più reggere con i tempi di oggi, i bambini sempre più distratti da mille stimoli e che fanno fatica a concentrarsi?

Penso che il problema fondamentale in Italia è che manca la formazione: sarebbe bello se ci fosse una vera e propria scuola, come quando si dice questa è la scuola francese, questa è la scuola giapponese… da noi ci sono delle società ovviamente fondamentali e fortissime a livello italiano e si tende a identificare un po’ il judo in quelle società, ma manca una vera e propria scuola italiana. Quindi sarebbe, secondo me, in futuro bello riuscire a trovare questa strada. Quindi non è detto che il judo fatto 50 anni fa sia meglio o peggio del judo attuale. I fondamentali di Jigoro Kano sono gli stessi, in fin dei conti, ma non è detto che non possano essere migliorati e contestualizzati nel migliore dei modi ai giorni nostri.