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Judo

Alessia Regis: tra Difesa Personale, Insegnamento e voglia di mettersi in gioco!

Sguardo buono, sorriso aperto e disponibilità: Alessia Regis, fermata per due chiacchiere a bordo tatami, è una persona con la quale si entra subito in sintonia ed è facile e piacevole parlare. L'occasione, ancora una volta, la dà lo Skorpion Stage di Piancavallo, giunto al termine nella giornata pre pasquale di sabato.

Alessia, ora ti occupi, oltre che di insegnare, anche di difesa personale: come hai deciso di intraprendere questo percorso e dove ti sta portando?

Io sono carabiniere e insegno alla Scuola Carabinieri di Torino difesa personale. Sono quasi quattro anni ormai! Oltre a quello gestisco, insieme a mio fratello, anche un corso di judo, per ragazzini in particolare. Le due cose vanno abbastanza insieme: la mattina mi dedico alla difesa personale con i carabinieri; ne abbiamo tantissimi – sono 300 – e con loro facciamo un percorso che dura sei mesi, in cui li portiamo ad avere una buona competenza sulla materia. Al pomeriggio invece ho i ragazzini e mi sto cimentando ormai da quando ho smesso di fare l’atleta agonista in questo bellissimo mondo tecnico, che è tutto fatto di una continua scoperta e di imparare giorno per giorno.

In quale ruolo ti trovi più a tuo agio? Come tecnico per gli adulti o per i bambini?

Ho la fortuna di vivermeli tutti e due! Adulti veri e propri non ne ho, perché comunque i miei allievi sono ragazzi sulla ventina. Ovviamente con loro faccio un percorso completamente diverso da quello con i piccolini: io adoro stare con i bambini, mi piace proprio tanto! A mio agio posso dire di trovarmi con tutti e due, non saprei dire cosa mi piace di più!

Quanto pensi sia fattibile portare la difesa personale alle persone comuni, considerato il proliferare di corsi di difesa vari, non sempre di carattere ufficiale?

Penso che la difesa stia ora prendendo piede, ma purtroppo ci sia tanta improvvisazione, come dici tu. Sarebbe bello creare un protocollo ufficiale e ci stiamo lavorando, a partire proprio dalla Caserma, dove abbiamo iniziato a mettere a punto un protocollo di quella che è la difesa personale, costruito ad hoc sulle forze dell’ordine, per ora, ma, si auspica, che un giorno possa essere fruibile anche per le persone comuni. Spesso mi viene chiesto se tengo dei corsi anche all’esterno, specialmente per le donne: mi piacerebbe.

C’è qualcosa che a una donna in particolare, ma non solo, può esser detto per una difesa di base? Degli accorgimenti da usare? Alcuni sedicenti insegnanti propongono corsi di tre giorni…

No, io sono dell’idea che ci voglia un percorso, poi ovviamente tutto fa e una semplice giornata ti dà quell’imput, quelle tre, quattro ore che fai ti possono servire, però è l’automatismo che devi creare, affinché veramente tu sia pronto a gestire una minaccia, quindi ci vuole pratica. Almeno un corso di un mese o due, per creare un automatismo e poi rinnovarlo e aggiornarlo di anno in anno. Altrimenti lascia un po’ il tempo che trova. Come nel judo proviamo un gesto per anni e anni prima di poterlo considerare efficace. Altrimenti poi subentra la componente della tensione quando ci si trova in una situazione potenzialmente di grave pericolo e se non hai l’automatismo non sei in grado di gestire la situazione, anche a livello psicologico.

Hai accennato al lavoro che ogni judoka fa per perfezionare il gesto tecnico. Parlando di bambini, che ancora devono iniziare quel tipo di percorso, qual è secondo te, ora, la chiave per ripartire?

Fare questo tipo di cose, stage come questo! Sono davvero contentissima di essere venuta allo Skorpion Stage: non c’ero mai stata e mi è piaciuto tantissimo, dall’organizzazione all’atmosfera! Vedi che i bambini e più ancora i ragazzini, dopo due anni chiusi in casa, sono proprio contenti, perché sono quelle fasce di età che ora hanno bisogno di ritrovarsi, di parlare, di dialogare, di non stare chiusi sui computer. Credo che la chiave sia proprio nel concetto di incontro: stage, allenamenti intersociali, tutto ciò che è scambio e condivisione.

C’è una parola che può rappresentare questi tre giorni a Piancavallo?

Collaborazione tra tecnici e serenità, perché ho davvero trovato un clima sereno, che mi è piaciuto. È questo il judo che vogliamo! Non ci piacciono le lotte, qua dobbiamo essere tutti quanti di supporto ai ragazzi, perché il fine è farli star bene, farli divertire e fargli amare il judo.

Cosa porteresti in uno stage futuro?

Difficile da dire, è andato tutto benissimo! Ci penserò! Però ho trovato tutto bello, anche la gara per i bambini, ottimo stimolo per la loro fascia d’età.

Cos’è per te il judo?

La mia vita! Ci sono nata e cresciuta e ora lo vivo dall’altro lato. Ora lo vivo dall’altro lato: quando facevo l’atleta pensavo che non avrei mai fatto il tecnico. Mi dicevo sempre: farò l’atleta, smetterò. Ma non è vero, mi sono appassionata tantissimo all’insegnamento. Spero di crescere come tecnico: bisogna sempre guardarsi attorno, rubare con gli occhi il lavoro degli altri, provare. Ho visto davvero tanta qualità da parte degli altri tecnici, io sono la più giovane e ho solo che da imparare.

Hai ancora un sogno o un progetto da realizzare?

Sicuramente portare uno dei ragazzini che sto allenando a un livello alto. Non dico Olimpiadi o che… con mio fratello Andrea e i tecnici della Società dove lavoro, Judo Azzurro, stiamo cercando di creare un gruppo, quindi anche semplicemente mettere qualche piccolo tassello per cercare di fare crescere questa palestra. E poi sto lavorando come tecnico della FISPIC, nazionale ciechi e ipovedenti: ho iniziato da poco e partirò lunedì per Antalya e seguirli in un gran prix di qualificazione già paraolimpica è un’altra di quelle cose che mi danno stimolo e che mi faranno crescere anche a livello umano, perché sono pazzeschi questi ragazzi, hanno tantissimo da dare e io ho tantissimo da imparare da loro!

Qual è la differenza nell’allenare persone che hanno un limite visivo, rispetto ad atleti che non ce l’hanno?

In realtà, quasi non si sente la differenza, se non nelle modalità per loro peculiari, come le prese differenti e la tipologia diversa nel modo di far judo. Siamo noi a dover capire a adattarci al loro modo di fare judo. Con loro bisogna proprio stare, far sentire col corpo: hanno bisogno di contatto e di presenza. A differenza dei ragazzi normodotati, loro hanno bisogno di un contatto continuo e costante. Il coach per loro è una igura di riferimento assoluto, cui si legano tanto.

Anche le loro regole arbitrali sono diverse.

Sì, i ciechi totali salgono sul tatami accompagnati dall’arbitro… noi abbiamo anche una ragazza sordo cieca, Matilde Lauria, che ha partecipato anche alle Para olimpiadi e, malgrado le difficoltà pazzesche, lei è una forza e noi abbiamo solo che da imparare da queste persone. Torni a casa e ti chiedi come facciano a essere sempre così solari e pieni di forza e di vita malgrado tutto.

 

Photo Credit: Skorpion staff.