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Judo

Capodistria in festa per il tradizionale Kagami Biraki!

Emozioni, tradizione, condivisione. L’evento Kagami Biraki di sabato scorso presso la palestra delle scuole elementari Anton di Capodistria si è rivelata un’occasione per rinvigorire un’amicizia di vecchia data con gli amici del Judo Klub Koper e non solo: la partecipazione nutrita di vari club FVG, alla presenza del Presidente FIJLKAM FVG Sandro Scano e del Presidente Onorario Palmiro Gaio, ha voluto cementare ulteriormente un legame che si sta concretizzando sempre più con il progetto Adriatic Friendship, tra Slovenia, Croazia e Friuli Venezia Giulia.

L’evento di sabato, organizzato dal Judo Klub Koper e dal Judo Klub Marezige, in collaborazione con la Federazione Nazionale Slovena, il comune di Capodistria e l’ambasciata del Giappone, ha visto la partecipazione di circa centoventi judoka di ogni età (compreso un folto gruppo di atleti diversamente abili), di fronte a una nutrita platea di quasi 500 spettatori, tra famigliari, appassionati e semplici curiosi, attirati dal battage pubblicitario.

Ma che cosa rappresenta questo evento? A spiegarlo è stato proprio l’ambasciatore giapponese in Slovenia Hiromichi Matsushima: il Kagami Biraki è un rito tradizionale giapponese, che consiste nell’apertura di una botte di sakè, utilizzando dei martelli di legno per celebrare l’inizio di un qualcosa di importante e per esprimere i migliori auguri di buona fortuna.

Kagami Biraki, una tradizione giapponese introdotta al Kodokan da Jigoro Kano – ha confermato Mojmir Kovac, uno dei promotori dell’iniziativa- È di particolare importanza nel Judo, perché permette di incontrarsi sui tatami in occasione del nuovo anno in maniera amichevole. È un modo per tornare alle fonti nei campi della tecnica, della cultura e della tradizione, specifici della nostra arte marziale.

Kagami Biraki è tradizionalmente celebrato l'11 gennaio –ha detto ancora il M° Kovac -. L'usanza di Kagami biraki fu introdotta nel Kodokan nel 1884. Oggi, molti dojo in tutto il mondo hanno ripreso questa tradizione.

A rendere l’evento ancora più completo, la presenza del M° Giosuè Erissini, Presidente di FIJLKAM Veneto, che, per l’occasione, ha indossato un’uniforme tradizionale da Samurai e l’accompagnamento musicale di un gruppo di musicisti che suonavano dei tamburi, i Douten Taiko, dando ritmo all’attesa dei momenti più salienti, nonché l’esibizione di carattere culturale di Michele Marolla, esperto di vari aspetti della cultura giapponese, che ha tracciato su stoffa dei kanji giapponesi, come si potrà leggere nel suo resoconto in appendice a questo scritto.

Il pomeriggio si è concluso con la tradizionale rottura della botte di sakè, che è poi stato servito direttamente dall’ambasciatore giapponese a tutti i partecipanti.

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Il KAGAMI BIRAKI, al quale mia moglie Giovanna e io abbiamo avuto l’onore di essere invitati, è una cerimonia molto importante e significativa della quale, con l’aiuto di mia moglie, esperta di tradizioni e storia del Giappone, voglio raccontarvi qualcosa che spero susciterà il vostro interesse e curiosità.

Il mito fa risalire l’origine di questa festa all’uscita dalla grotta della divinità Amaterasu che vi si era rinchiusa a causa di un grave ingiuria ricevuta dal fratello Susanō.

La dea Amaterasu rappresenta la divinità del sole e pertanto, privando il mondo della luce, ogni cosa era destinata a morire.

Le divinità, preoccupate, si radunarono per cercare una soluzione e nel mezzo della discussione la dea della danza Ame no Uzume rovesciò un barile di sake, vi montò sopra e iniziò a danzare discintamente.

Tutte le divinità iniziarono a ridere e la dea Amaterasu, incuriosita dal fatto che pur in assenza di luce le altre divinità si divertissero, mise fuori la testa dalla grotta.

A quel punto una delle divinità fu pronta a rompere la roccia che chiudeva la caverna e tirare una corda (oggi rappresentata dalla shimenawa, la corda di paglia di riso che si trova davanti a tutti i santuari shintoisti) in modo che la dea Amaterasu non potesse rientrare.

Fu anche messo uno specchio davanti alla dea che, guardando la sua stessa immagine, si rese conto della sua intensa bellezza e decise infine di non privare più il mondo della sua luce.

Questo il mito.

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Una leggenda invece fa risalire l’origine del kagami biraki al IV° shogun, Tokugawa Ietsuna (1641-1680), il quale prima di andare in guerra convocò un daimyō per condividere con lui un barile di sake.

Poiché in seguito ottenne una rapida vittoria in battaglia, l’aprire un barile di sake rompendo con un martello il suo coperchio in vista di un importante evento (sia esso militare, sportivo o sociale) divenne un simbolo benaugurante.

Da allora la tradizione continua ad essere sempre praticata e seguita.

In Giappone oggi il kagami biraki è una cerimonia molto sentita che viene fatta in occasione di ogni inaugurazione (attività, mostre, matrimoni, commemorazioni, ecc.) ma, in particolare per quanto riguarda le arti marziali, è usanza celebrarlo in occasione del primo keiko (allenamento) dell’anno.

In questo allenamento non si esercita solo la tecnica, ma ci si mette il massimo dell’energia e della concentrazione che si cercherà esprimere durante tutto l’anno che inizia.

Il keiko deve essere fatto con mushin (il “vuoto” della mente, del cuore e dello spirito), mettendo nei gesti il Ki (l’energia dell’universo), la compassione, l’amore, la rabbia, la tristezza e la gioia. Solo così ogni gesto, condiviso con i compagni di pratica, sarà autentico.

Al termine dell’allenamento si fa il kagami biraki, l’apertura della botte di sake con i tradizionali martelli, che andrà a suggellare l’energia e l’armonia condivisa nel Dōjō. 

Va ricordato infine che tutti i legami (ma anche i contratti) sono finalizzati in Giappone grazie al sake: dal matrimonio (cerimonia del “san san ku do” che equivale al nostro scambio degli anelli),

alla celebrazione delle “gosekku” (le cinque festività dell’antica tradizione shintoista), così come… all’affiliazione alle yakuza (organizzazioni criminali giapponesi).

Alla cerimonia Giovanna ha esibito due kimono originali, il suo e quello indossato dalla simpatica presentatrice Sabrina.

Personalmente ho avuto l’opportunità di eseguire due grandi calligrafie giapponesi in stile kaisho cercando di mettere nei tratti del pennello tutto il KI necessario per rendere i kanji (gli ideogrammi, letteralmente “caratteri cinesi”) vibranti e armonici.

La prima, JŪ-DŌ, non ha bisogno di traduzione né di spiegazioni; la seconda, USAGI (coniglio), ho ritenuto simpatico farla perché per l’oroscopo orientale il 2023 è l’anno del coniglio.

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Alcuni mi hanno chiesto da dove viene la mia passione per la cultura giapponese.

Cerco di spiegarlo in poche frasi.

Da giovane il mio interesse per il Jūdō sfociava nella competizione attraverso allenamenti, sudore, lacrime e sangue, finalizzandosi nelle gare (con risultati molto modesti in verità).

Più avanti con l’età, smesso l’agonismo, cercavo nell’apprendimento della tecnica e dei suoi principi (studio dei kata e dell’evoluzione della pratica) un fine più alto e un naturale proseguimento nella “via”.

Successivamente ho sentito l’esigenza di guardare oltre alla mera espressione tecnica dell’arte e mi sono addentrato nello studio del Giappone, del suo popolo, della sua storia e delle sue tradizioni… e qui mi si è aperto un mondo.

Oltre ai molti viaggi (tredici fino a oggi), allo studio della storia, della geografia, della lingua, della spiritualità e della musica del Paese del Sol Levante, ho cercato di approfondire le sue maggiori arti grazie anche all’aiuto di validi maestri giapponesi, come la cerimonia del tè (Cha no Yu), l’Ikebana (l’arte della disposizione dei fiori), il Taiko (tamburi tradizionali), la calligrafia (Shodo) e l’Aikidō (un’arte marziale quest’ultima dove non c’è competizione né agonismo e di conseguenza manca quella “distrazione” che offusca la comprensione profonda del DŌ, la “via” che sta alla base della nostra arte).

Ritengo (e mi auguro) che questa sia l’evoluzione che ogni praticante dovrebbe fare nell’arco della sua carriera marziale (che dura tutta la vita).

Questo cerco di trasmettere ai miei allievi e, se ne avrò la possibilità e la fortuna, anche alla mia nipotina italo-giapponese, Noemi, che oggi ha quasi due anni e vive a Shimono, un paesino vicino a Nakatsugawa, nella prefettura di Gifu. - Michele Marolla.

 

Photo credits: Katja Gorjanc