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Judo

Sul tatami a Sacile Chang Rim An: un campione dentro e fuori.

Ciò che colpisce prima di conoscere Chang Rim An è il palmares, indubbiamente, degno di un grande campione. Ciò che rimane impresso, dopo aver trascorso pochi minuti insieme a lui, è l’umiltà, la modestia, la simpatia di un vero bravo ragazzo.

Hai mostrato un sacco di tecniche in maniera eccellente: quale consideri il tuo “speciale”?

Mi piace molto tirare i seoi nage, ma la tecnica con cui mi sento davvero a mio agio è il ko uchi gari: lì mi sento davvero sicuro di poter esprimermi al meglio.

Prima hai parlato dell’importanza del tuo coach delle medie. È stato quello uno dei punti chiave della tua carriera sportiva?

Sì, perché ha cambiato la mia mentalità di base del judo, ripetendomi sempre che se avessi voluto ottenere delle medaglie, avrei dovuto allenarmi tanto e in maniera intelligente. Da quel momento questo è stato il mio modo di ragionare fino al momento in cui mi sono ritirato. E più di ogni cosa, mi ha insegnato a essere una buona persona, perché per essere un buon judoka, non puoi non essere innanzitutto una brava persona.

È stato in quel periodo che hai iniziato ad allenarti con questa intensità?

Sì, intensamente e in maniera intelligente. Se vuoi ottenere delle medaglie devi sacrificare tutto quello che puoi al judo.

E come hai fatto a combinare questo modo di allenarti con l’impegno scolastico?

Certo, il lavoro dei ragazzi e dei bambini è studiare. Ammetto che ho trascurato un po’ lo studio per mantenere certi ritmi di allenamento. Andavo a scuola, fino alle scuole medie, oltre al judo, praticavo karate, dal momento che mio padre era un insegnante di questa disciplina e giocavo a calcio. Poi ho deciso di abbandonare ogni altra attività, perché era troppo impegnativo. Dopo scuola andavo immediatamente ad allenamento, poi a casa a mangiare e a riposarmi un po’ e di nuovo ad allenamento, a casa per cena e di nuovo allenamento: mi allenavo già quasi sempre tre volte al giorno: è un ottimo modo per impostare la giusta mentalità.

Hai iniziato la tua avventura come coach nel 2022. Come sta andando?

Ho iniziato da poco, ma non mi considero un vero insegnante, insegno di tanto in tanto, ora ho necessità di dedicarmi al fare il genitore [NDR ha avuto una figlia appena un mese fa] e alla mia famiglia, per cui mi spiace se non sono abbastanza bravo, ma è lo stile di vita giusto per me ora.

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A chi preferisci insegnare?

Per me è meglio insegnare agli adulti: le classi giovanili sono troppo impegnative. Il tipo di judo che io pratico e insegno è basato sui piccoli dettagli, difficili da cogliere per i più giovani e da trasmettere da parte mia, mentre gli adulti, che generalmente hanno già una formazione di base, sono in grado di comprendere i dettagli e metterli in pratica.

Al momento sto insegnando a tre atlete donne di alto livello: una ha fatto medaglia di recente al Grand Prix di Zagabria. Sono tutte ragazze come me nate in Giappone da famiglie coreane. Ho la concreta speranza che riusciranno a partecipare alle Olimpiadi.

L’abbandono giovanile è un problema che affligge molte realtà. Che cosa ne pensi, c’è anche da voi?

Sì, per quanto abbiamo un sistema per cui esistono gare per i principianti e per l’alto livello. Questo permette di praticare il judo con gioia a chi non sente di voler sacrificare tutto al judo. A volte capita che chi era un principiante sia poi diventato un alto livello.

Che cosa ti auguri i tuoi allievi si portino a casa dopo una tua lezione?

L’abilità di pensare e di adattare ciò che io mostro al proprio percorso e modo di fare judo: ognuno ha il suo modo di interpretare il judo, io voglio offrire degli spunti, non pretendo di avere la verità assoluta, l’importante è che sappiano interpretare al meglio ciò che io mostro.

Che cosa vedi nel tuo futuro?

Al momento ho molte cose nella mia vita che mi stanno a cuore, come ho già detto, a partire dalla mia famiglia, proseguendo col judo e il mio club in particolare. La famiglia è di certo la parte più importante della mia vita ora e non dubito lo sarà anche in futuro. Sento molto la responsabilità e la gioia di essere un marito (mi sono sposato durante il Covid, poco più di un anno fa) e un padre.

Sei nato in Giappone, ma hai sempre tenuto a rimarcare la tua appartenenza alla comunità coreana. Una condizione, quella di essere parte di tale comunità in Giappone, che ti è pesata molto. Come è stata la tua infanzia e come hai vissuto questa situazione?

Sono cresciuto nel quartiere coreano in Giappone. Sono moltissime le persone che, quotidianamente mi hanno ferito, prima ancora che io iniziassi a frequentare le scuole superiori. La mia intenzione è di raccontare un giorno a mia figlia cos’ha significato per me crescere a questo modo.

Ti sei sentito bullizzato?

Assolutamente sì. C’è un grosso problema di razzismo in Giappone nei confronti della comunità coreana.

Avvertivi questo disagio per lo più a scuola?

In realtà ho frequentato scuole coreane in Giappone. Il problema lo avvertivo nella vita di ogni giorno al di fuori della mia comunità di riferimento. I nostri coetanei ci apostrofavano per strada, accusandoci di essere spie coreane o cose del genere.

Hai trovato un luogo sicuro nella palestra di judo?

Sì, perché all’interno del dojo le persone si sono sempre rispettate. Certo, ogni tanto capitava qualche testa calda, ma certi atteggiamenti non venivano tollerati a lungo ed è stato molto importante per me.

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Quand’eri un agonista hai rappresentato la Corea e non il Giappone.

Sì, era molto importante per me, perché la mia famiglia ha mantenuto la nazionalità coreana: loro rappresentano le mie radici, per me è stato un onore. Come i miei nonni e i miei genitori, anch’io ho mantenuto la nazionalità coreana.

È una delle ragioni per cui non hai potuto combattere per il Giappone?

Sì, è stata una scelta consapevole, da una parte, ma anche legata alla mia nazionalità, che mi ha obbligato in questa direzione. Non cambierei mai la mia nazionalità, così come non lo farebbero mai i miei genitori.

Quando sei andato la prima volta alle Olimpiadi, il tuo obiettivo, purtroppo irrealizzato, era battere Ono. Quando sei tornato, a Tokyo, hai vinto la medaglia di bronzo: senti di aver ottenuto ciò che volevi?

La medaglia di bronzo è stata importante, certo, l’obiettivo era di vincere l’oro, ma quando ho perso, ho realizzato che questo era il mio massimo livello e ho deciso che poteva bastare così.

È per questo che hai scelto di ritirarti nel 2021?

Esatto, ma anche perché ho realizzato che nella mia vita ci sono tante cose più importanti del judo e dello sport: la mia famiglia, gli amici, la mia religione cristiana, che mi ha dato tanto sostegno negli anni dell’agonismo. Certo, ci sono tante persone che riescono a controllare e a fare tutto: judo, famiglia… ma la mia personalità non me lo consente: quando combatto ho solamente due livelli, o zero o cento. Quando ho partecipato alle Olimpiadi sentivo che non riuscivo a dedicarmi alla mia famiglia quanto avrei voluto: certo, dal punto di vista della mia carriera agonistica è stato un bene, perché tutte le mie energie e i miei pensieri erano concentrati sul judo, ma per la mia vita è stato difficile.

Che cosa senti quando ti alleni?

Ancora adesso mi sento vivo. Mi alleno da quando avevo cinque anni: amo allenarmi, lo sport è la mia vita, ma a volte mi chiedo perché lo faccio, perché è davvero dura!

Chi erano i tuoi riferimenti judoistici e chi vedi ora come tuo possibile erede?

I miei modelli da giovane sono stati Satoshi Ishii e Hiroyuki Akimoto. Ho sempre ammirato Shohei Ono, ma l’ho sempre visto soltanto come un avversario: non sarei mai riuscito a tirare fino in fondo con chi fosse stato un mio amico! Ora, nella mia categoria, ci sono un sacco di ottimi e promettenti atleti: quelli che preferisco sono il georgiano Lasha Shavdatuashvili, il mongolo Tsend-Ochir Tsogtbaatar e il giapponese Soichi Hashimoto .

Questa è la tua prima volta in Italia?

No, la terza. La prima volta è stato all’European Cup di Roma, dove non combattevo, ma ero in compagnia del mio team dopo il Grand Slam di Parigi, la seconda a Prato e Montegrimano, come insegnante e questa volta ho girato tutto il Nord Italia. Amo il vostro caffè e la pizza, ne mangio, quando possibile, due al giorno!