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Judo

Igor Tsurkan, breve storia di un judoka errante

Determinato, concentrato, appassionato. Igor Tsurkan, stoffa da campione e animo fiero, ha lo sguardo serio e un sorriso malinconico che colpisce quanto le sue parole.

Nato in Ucraina (precisamente a Odessa) nel 2005, Igor è arrivato in Slovenia due anni fa (dicembre 2021) in cerca di nuovi sparring per allenarsi, cosa che nel suo Paese d’origine era diventata impossibile. Vice campione europeo junior 2023 nei – 81 kg, bronzo ai Campionati del Mondo cadetti 2022, ora Igor vive a Lubiana e si allena presso il Judo Klub Olimpija, ma il pensiero rimanda sempre alla parte di famiglia lasciata a casa.

Dopo qualche settimana in Slovenia sono tornato a casa per una settimana, ma subito dopo sono tornato perché a Porec stava per iniziare il training camp di febbraio 2022: di lì a poco è iniziato lo scontro armato in Ucraina e io sono andato al camp senza sapere bene che cosa fare e aspettando di comprendere meglio la situazione e da quel momento non sono più tornato a casa… a marzo 2022 avrei dovuto avere i campionati nazionali U18… ed ora tutta la notte di Capodanno fino al tramonto del primo gennaio la mia città è stata bombardata per tutto il tempo: mio cugino e mia nonna si sono nascosti nel bagno, hanno iniziato così l’anno nuovo. Anche quello che è stato il mio primo insegnante a scuola ha passato la notte a cercare di ripararsi nel bagno: le finestre della casa sono state fatte saltare, era l’unico posto abbastanza sicuro.

Hanno qualche chances di venire anche loro in Slovenia?

Se anche fosse, che cosa farebbero in Slovenia? In Ucraina hanno un lavoro, tutta la famiglia, la loro vita è lì.
Mio fratello maggiore è nell’esercito, così come uno dei miei cugini.

In una situazione così critica, dove trovi la concentrazione per continuare ad allenarti?

Devo fare quello che posso per il mio Paese. Non posso arruolarmi perché ho un problema agli occhi che non me lo consente, per cui cerco di essere perlomeno sportivamente un uomo utile al mio Paese, per fare in modo che la bandiera ucraina venga vista a livello europeo e sia di sollievo e ispirazione a chi combatte al fronte.

Qui al Camp c’è la nazionale italiana atleti ciechi e ipovedenti, che impressione ne hai avuto?

Il loro animo è così forte! Non possono vedere, ma vogliono allenarsi e imparare e aderiscono perfettamente alla cultura giapponese del judo, perché, al di là del loro handicap, sono dei veri atleti olimpici e trovo fantastico che abbiano istituito le paralimpiadi per permettere anche a chi ha qualche forma di disabilità di confrontarsi con altri atleti! Ci sono molte competizioni anche per loro ora e trovo sia importante per il nostro sport, perché dimostra che il judo è uno sport che dà la possibilità di essere praticato a chiunque.

Che cosa ne pensi del Winter Camp di quest’anno?

È la quinta volta che partecipo e, come sempre, non posso non ringraziare dal profondo del cuore Milena per l’aiuto, per la possibilità di partecipare a questo camp, dove allenarsi, imparare, stare sul tatami insieme a dei campioni olimpici e mondiali e anche con dei coach davvero speciali.

Tra tutti, qual è stato il tuo insegnante preferito di quest’anno?

Silvio Tavoletta: è così bravo! E anche suo figlio, li conosco personalmente e li trovo bravissimi e sono degli amici!

La tua categoria è la stessa in cui ha iniziato Iliadis e la stessa che è stata di Bischof: averli sul tatami è di ispirazione per te?

Ora sono dei coach, mi sarebbe piaciuto molto avere la possibilità di averli come sparring partners quand’erano al top della loro forma fisica… certo, ora è interessante quando mostrano come tiravano certe tecniche, come impostare le prese e i movimenti, eccetera, sono bravissimi.

Agonisticamente parlando, qual è il tuo prossimo obiettivo?

In realtà non lo so ancora. Il capo coach della nazionale ucraina andrà a Mittersill e deciderà a quali gare dovrò partecipare quest’anno. Il mio personal coach – tutti gli sportivi della nazionale ne hanno uno – si è arruolato ed è in guerra ora, mentre il resto della squadra si sta allenando a Kiev, perché nella mia città ormai non ci sono molti sparring partners né coach, perché molti sono in guerra.

Non resta molto da dire. Igor si esibisce in un cortese e formale saluto di ringraziamento, che coincide col suo modo di fare gentile e misurato. Accetta di posare per una foto ricordo, lasciandosi andare a un momento di spensieratezza; non ha l’aria di concedersene molti. Sparisce tra la folla sul tatami, una storia tra le tante, forse un po’ più fuori dall’ordinario delle altre per noi, semplice quotidianità per lui. Nel palazzetto risuona sordo il silenzio della pausa pranzo.