Prendendo spunto dall’intervista rilasciata recentemente alla pubblicazione online Baraondanews.it, che ringraziamo, qualche giorno fa abbiamo fatto una chiacchierata con il Maestro Alfredo Monti. Con lui i racconti e gli aneddoti sono infiniti, perché il Maestro “romano de Tibburtino terzo” (la doppia bb è dovuta) ha tantissimi amici di lunga data anche in questa regione (FVG). Proprio a Udine si disputò un campionato d’Europa femminile in cui le ragazze del Maestro Monti brillarono più delle altre portando a casa tre medaglie d’oro con Patrizia Montaguti, Laura Di Toma, Margherita De Cal e due d’argento con Paola Napolitano e Nadia Amerighi. Per la grande soddisfazione del Maestro Piero Comino che, quell’evento del 1980, lo volle coraggiosamente organizzare.
“Sicuramente mi ha fatto piacere, ma, in realtà, ho anche pensato: era ora”. Dietro a questa battuta si cela una storia di judo e di sport lunga una vita, e non poteva essere riassunta meglio se non così.
Ma ne è passata di acqua sotto i ponti o, per meglio dire, di tempo sul tatami, prima di arrivare a questo prestigioso traguardo. Il percorso del Maestro Monti non è certo snello né facile da sintetizzare.
Stiamo parlando della storia di un fu ciclista di inseguimento su pista, già campione italiano esordienti, costretto a smettere una volta passato al ciclismo su strada. Dopo un breve periodo sul ring coi i guantoni da boxe, Alfredo Monti approda per caso al Judo: “C’era un signore che sulla giacca portava un distintivo giallo ed ogni mattina passava davanti al negozio di fiori, a San Lorenzo, di proprietà della mia famiglia, incuriosito gli chiesi cosa fosse e mi rispose che si trattava di una nuova disciplina giapponese che stava prendendo piede in Italia, invitandomi a provarla.” Così, comincia la lunga carriera judoistica del Maestro Monti: a 18 anni, in una cantina, con un tubo e un secchio per la doccia fredda dopo l’allenamento. Ai tempi, quella dove comincia Alfredo Monti era una delle pochissime realtà judoistiche in Italia, ma è stata un’ottima fucina che l’ha portato a conquistare svariati titoli e podi: 4 titoli italiani di cui 2 assoluti, una Coppa Italia cinture Nere, un 2° posto ai giochi del MEC (Mercato Comune Europeo), Campione d’Ungheria, due 5° posti ai Campionati Europei di Essen e Losanna, 1° al Gran Premio Internazionale di Cortina, battendo fra gli altri Radovan Krajinovic (ex YUG) argento negli Open agli Europei del 1968 a Losanna, ancora 1° al Gran Premio Internazionale d’Italia e tante volte sul podio, sia in Italia che all’estero.
Un’ascesa dalla velocità invidiabile tenendo conto che i primi passi sul tatami li ha fatti a 18 anni. Questi risultati gli valgono la convocazione fissa con la nazionale dal 1963 al 1970. Nel 1972 si ritira dall’agonismo dopo un infortunio al ginocchio subìto durante le qualificazioni –comunque vinte - per i suoi ultimi campionati italiani.
Rimane nel giro della nazionale affiancando altri allenatori fino al ’71, anno in cui viene chiamato dal Maestro Gianfranco Ranucci nel suo Shiro Dojo: una società che negli anni a venire sfornerà una quantità significativa di campioni, al punto da renderla punto di ritrovo ed allenamento per molti atleti della nazionale italiana del tempo guidata da Masami Matsushita.
“Oggi, quei ragazzi sono tutti uomini, ma mi chiamano ancora Maestro e, alla fine, questo rapporto è la cosa più bella dello sport”: dice Monti parlando dell’esperienza allo Shiro Dojo.
Negli anni ’80, si sposterà a Roma, dove dopo un periodo alla guida della nazionale junior e della rappresentativa regionale, si ritrova a seguire la nazionale femminile nel suo periodo più proficuo: ai mondiali del 1980 le azzurre chiusero al 3° posto nella classifica per nazioni con l’oro di Margherita De Cal, due argenti (Anna De Novellis e Laura Di Toma) e un 5° posto (Cristina Fiorentini). Seguirono poi tanti altri risultati da tecnico per Alfredo Monti, sia con la nazionale che dopo, con le Fiamme Oro: “Erano ragazzi incredibili e per me fu un onore essere l’unico civile, ad oggi, ad averle allenate. Tra quei ragazzi c’era Maddaloni che poi vincerà l’oro a Sidney”. Negli anni 2000 si dedica all’insegnamento “senza judogi”: gira diverse università italiane insieme ad
Attilio Scarpanti, Professore di Biomeccanica dello sport, per spiegare la dinamica delle tecniche del judo, in particolare dell’uchi mata, la “sua” tecnica.
Una lunga ed intensa carriera di judoka e di sportivo, riconosciuta prima nel 2002 con il 7° Dan internazionale conferito dall’EJU, poi con l’8° nel 2011 dal Presidente Falcone e infine il 9° ricevuto sabato 14 giugno al Pala Pellicone, direttamente dalle ragazze della “sua” nazionale femminile protagonista a New York 1980.