Passione, talento, umiltà, creatività: sono solamente alcune delle doti che si percepiscono nell’immediato quando si assiste a una lezione di Francesco Faraldo, ex atleta olimpico, ora Direttore Tecnico della Nazionale FISPIC (Federazione Italiana Sport Paralimpici per Ipovedenti e Ciechi).
È sotto gli occhi di tutti –ha detto il DT regionale Gianni Maman, nel ringraziare coach Faraldo per la lezione tenuta oggi ai tecnici FVG presso il Pala Micheletto di Sacile- la progressione dei risultati ottenuti negli ultimi tempi dai ragazzi della nazionale paraolimpica, riferendosi in particolare al tris di bronzi (Camanni, Cannizzaro, Peli) conquistati di recente al Grand Prix d’Egitto a Giza.
Per me è stata una sfida –ha commentato coach Faraldo-. Quando è arrivata quest’occasione nel 2017 io collaboravo con la FIJLKAM. Credo che ognuno di noi accetta le sfide e cerca di superare i propri limiti. Quando ho smesso di fare l’agonista dopo Londra 2012, per un anno non ne ho voluto più sapere niente, poi, per chi ha fatto judo per tanti anni, diventa impossibile stare fermo, non puoi scappare dal tatami! E mi è venuta di nuovo fame. Ho iniziato il corso da allenatore, poi quello da istruttore, il corso IJF primo livello, poi secondo livello… a breve andrò a fare quello da maestro… E poi è arrivata la paraolimpica che mi ha aperto un mondo, perché ho avuto il piacere e l’onore di stare a contatto con questi ragazzi e dico grazie a chi me ne ha dato la possibilità, perché mi hanno fatto capire il senso della vita, il piacere della vita. Mi hanno fatto vedere la vita da un’altra prospettiva. Con loro abbiamo raggiunto l’obiettivo di partecipare alle Olimpiadi di Parigi. Non abbiamo portato a casa nessuna medaglia, ma comunque grandi soddisfazioni e crescita personale. Loro non sono tanti, per ora, ma io sono sicuro che ce ne sono tanti in giro per l’Italia e credo che, lavorando tutti insieme, possiamo far crescere il movimento.
Il Suo percorso è stato variegato, da allenatore delle Fiamme Azzurre a tecnico FISPIC. Quale direzione ha dato alla Sua vita personale e professionale?
In questi anni ho avuto l’opportunità e il piacere, come dicevo prima, di confrontarmi con un mondo, quello paraolimpico, grazie a Silvio Tavoletta, che oggi ricopre il ruolo di Direttore Sportivo nella FISPIC. Grazie a lui ho avuto la possibilità di approcciarmi con questo mondo meraviglioso, che mi ha fatto capire il senso della vita. A volte ci dimentichiamo che siamo dei privilegiati e fortunati a fare quello che facciamo. Il messaggio anche per i giovani dev’essere che dobbiamo fare sport non tanto per portare a casa delle medaglie, ma semplicemente perché possiamo crescere in un ambiente sano, dove ci sono dei valori, delle persone che ci vogliono bene. Io reputo il dojo una famiglia e laddove c’è una famiglia, ci si può aiutare l’uno con l’altro e questo concetto è alla base dello sport, qualunque disciplina si pratichi. La paraolimpica in questi anni mi ha fatto capire questo. Questi ragazzi vivono alla giornata, sempre col sorriso sulle labbra, malgrado tutte le loro difficoltà ti fanno sempre capire che la vita va avanti e che bisogna accettare le sfide che ti presenta. Sono una forza della natura.
Lei è un allievo del Maestro Maddaloni: quanto i Suoi insegnamenti hanno influito sul Suo atteggiamento attuale nei confronti dello sport e della vita?
A quattordici anni, nel 1996, ho intrapreso il percorso del “college”, ero giovanissimo: l’obiettivo di quel progetto era di far crescere gli atleti in un certo modo. Dopo di che ho alzato l’asticella col Maestro Gianni Maddaloni, che mi ha fatto capire il senso dell’agonismo ed è stata una persona che veramente mi ha dato tanto. Mi ha dato la mentalità, un’identità, mi ha aiutato a costruirmi come atleta e come uomo e quello che sto costruendo in questi anni. Il Maestro Gianni ancora oggi lavora molto nel sociale e per l’età che ha dà ancora tanto!
La lezione che ha tenuto oggi, ricca di spunti, ha posto un interessante parallelismo tra ritmo e tempistica nel judo e nella musica. Queste considerazioni derivano da una passione personale per la musica?
No, in realtà non sono legato alla musica perché non ne ho proprio i tempi: mia moglie dice che non so ballare! Ma nel judo mi trasformo: quando mi metto il judogi addosso entro in un’ottica diversa, è come se il mio corpo si trasformasse. Riesco a muovermi in maniera limpida, fluida, leggera, cosa che solitamente avviene nel ballo. Da qui il paragone, perché so che nella musica ci sono dei tempi da rispettare. Se vuoi praticare un judo armonioso, devi rispettare il tuo corpo e avere una certa conoscenza nei gesti che esprimi attraverso gli spostamenti.
Una delle lezioni tenute ieri è stata dedicata alla didattica per ragazzi con bisogni speciali. Lei che si occupa di ragazzi con delle disabilità di tipo visivo in questo momento di che cosa crede abbiano più bisogno?
L’inclusione è un tema che mi sta molto a cuore, soprattutto negli ultimi anni. Ho capito crescendo che bisogna dare una grande mano specialmente alle famiglie di questi ragazzi, che non hanno, spesso, conoscenza del mondo dello sport, hanno paura di approcciarsi nelle palestre per vari motivi, non ultimo il rifiuto. Noi maestri abbiamo il dovere di accogliere questi genitori e far loro capire che possono stare tranquilli e che, da parte nostra, in palestra, c’è tutto l’aiuto possibile per far migliorare i ragazzi e portarli a raggiungere gli obiettivi che possono essere posti insieme, anche con l’aiuto del medico che li segue.
Come interpreta l’abbandono giovanile precoce nel mondo dello sport in un’epoca storica in cui forse proprio lo sport potrebbe rappresentare un’ancora di salvezza per tanti ragazzi?
Credo che uno dei motivi sia la ricerca esasperata del risultato immediato. Io non amo l’agonismo precoce. Per me brucia le tappe e allontana dallo sport in generale. Le cose devono essere fatte in maniera graduale, piacevole. Si viene in palestra per stare bene. L’agonismo è un passo successivo, che si sviluppa piano piano. Puntiamo sui principi dello sport e poi se ci sarà qualcosa da cogliere durante il percorso, lo si coglierà al momento giusto. Così si evitano la noia, lo stress da allenamento e si fa in modo di porre degli obiettivi nel ragazzino, in maniera leggera.
Si può allenare la fluidità e precisione senza per questo annoiare o porre traguardi troppo lontani?
Sì, io penso che l’allenamento dev’essere fatto in modo che il maestro sia sempre in grado, negli anni, di trovare delle soluzioni giuste e avere sempre la lettura corretta attraverso lo sguardo dell’atleta per capire se sia la giornata giusta per un determinato allenamento o meno. Il maestro dev’essere creativo e fare cose diverse dal giorno precedente e farli sempre sorridere.