Il sorriso è sempre aperto, spontaneo e generoso. Lo sguardo è bonario, ma, allo stesso tempo, affilato e combattivo. È passato poco piu di un mese dal Trofeo Alpe Adria di Lignano, ma il ricordo di quella chiacchierata è ancora vivo. Guarda da un angolino degli spalti del Palazzetto del Villaggio Bella Italia gli atleti maschi e femmine che ancora stanno combattendo, Laura di Toma, attuale Team Manager delle squadre nazionali.
Le chiedo la cortesia di un’intervista e mi scuso per l’invadenza in un momento di calma.
“Ma un giornalista dev’essere invadente!” mi risponde, con quella sua dote naturale di mettere subito a suo agio le persone.
“Laura, come hai cominciato a praticare judo?”
“Allora, sono una judoka degli anni ’70 e ’80, quindi molto tempo fa… nasco a Osoppo, un paesino piccolino… lo è tuttora… dove, a quel tempo, nella mia gioventù, non c’era assolutamente nulla, per quanto riguarda lo sport! C’era solo la squadra di calcio maschile… però che cosa avevamo?! Avevamo la bicicletta, avevamo i campi, gli alberi… quindi, l’attività motoria, anche se non era disciplinata… l’abbiamo fatta… voi giovani non lo sapete, ma nei bar c’era la sala televisione… era su un grande trespolo… come al cinema! E c’erano le sedie… i miei genitori avevano un negozio di alimentari e anche il bar e quindi avevo la possibilità di vedere molta più televisione di tanti altri, ragazzi o bambini… e vedevo tantissimi sport… e mi sarebbe piaciuto fare tutto: sciare, nuotare… e non era possibile! Quando ho avuto l’occasione di andare a scuola a Udine, quindi alle scuole superiori… non sapevo niente dello Yama Arashi, non sapevo nulla! Ho trovato una pubblicità nella palestra della scuola, dove era sorta una nuova società di judo e io mi sono iscritta, perché finalmente avevo trovato un qualcosa… la potevo fare io personalmente (ndr l’iscrizione) e quindi… mi sono iscritta”.
“Senza sapere che cosa fosse il judo?” chiedo.
“Non sapevo! Se ci fosse stato scritto hockey su prato o pattinaggio… lo avrei fatto lo stesso! Qualunque cosa! Era lì, c’era l’indirizzo, c’era tutto e io sono andata. Ma attenzione!” sottolinea Laura. “Anni ’70! Dove le ragazze avevano voglia di emergere! Quindi, insieme a me, nel giro di due mesi, si sono iscritte circa 70, 80 ragazze!”.
“Caspita, pazzesco!” commento.
“Pazzesco, l’hai detto! Quindi io, per anni, ho fatto solo con ragazze! Non sapevo… prendevo la corriera alle 6 di mattina, andavo a scuola a Udine allo Zanon… tre volte alla settimana mi fermavo in città, andavo in un bar, mangiavo un po’… e poi andavo a fare allenamento. Riprendevo la corriera e tornavo nel mio paesino. Quindi io non vedevo assolutamente cosa facevano i maschi. Io pensavo di fare judo come tutti. C’è stata un’occasione di vedere il campionato del Mondo a Vienna. Era solo maschile. E c’era Rougè, c’erano i giapponesi… e lì ho capito che comunque di differenze tra maschio e femmina ce n’erano!” ride. “Soprattutto fisiche… ho detto: questi fanno un’altra cosa! Quindi, è evidente che ho capito, non perché mi sentissi diversa o che cosa, però, cavolo, la genetica c’entra! C’entra molto. Però questa nuova consapevolezza non mi ha impedito di continuare ad allenarmi. Mi sono appassionata subito! E da lì è cominciata poi tutta la mia carriera sportiva.”
“Veniva gestito in maniera molto differente, secondo te, il judo femminile rispetto a quello maschile?”
“Mah… no, diciamo che no, c’erano differenze fisiche, come tutt’ora ci sono… io mi allenavo, come ti dicevo, con queste tantissime ragazze… avevamo il Maestro Kuroki… gli allenamenti comunque erano duri… penso fossero duri anche per i maschi… e quindi, insomma, ci siamo allenati tutti e comunque siamo andati avanti… io mi sono appassionata subito e insieme a me anche questo gruppo di ragazze, che poi ha eccelso. Succede che poi io tengo duro, perché non mollo e quindi riesco a entrare in nazionale, ma insieme a me c’era la Laura Tomasetti, Simona Marcuzzi, la Pozzo… non sapevo che c’era un altro club, non sapevo che si erano divisi… era lo Yama Arashi, che ora si è ripreso il posto… e il Tenri non esiste più… comunque erano le due società che si allenavano nello stesso palazzetto, a giorni alterni. Comunque io non ne sapevo nulla, io mi allenavo e basta. Quindi, anche abbastanza presto, arriviamo alle gare, che erano suddivise proprio per cintura: fino a gialla, eccetera… quindi c’erano dei gradini, questo era molto positivo, fino ad arrivare all’assoluto… quindi c’era tutto un sistema… soprattutto per noi donne che cominciavamo…”
“Un sistema efficace e graduale”
“Esatto. E poi in quegli anni cominciava questo grande movimento delle donne nel judo! Cosa vedevo io quando arrivavo in via Marangoni? Vedevo una fotografia di una nazionale italiana femminile, dove c’era la Gianna Bin, che era dello Yama Arashi! E dicevo: cavoli, che bello!” ride al ricordo. “Quindi esisteva già una nazionale. Ti ripeto, mi piaceva moltissimo, abbiamo continuato ad allenarci e quindi siamo arrivate anche in nazionale, insieme a tutte queste ragazze di tutta Italia. Diventa la mia passione, il mio sport e non lo lascio più naturalmente. In Europa cominciano le gare molto importanti, i campionati d’Europa. Già l’Europa femminile si stava muovendo molto bene, era già avanti, però mancavano le Olimpiadi… e in tutti questi anni abbiamo lottato insieme alla Rusty… si chiamava Rena Kanakogi, la chiamavano Rusty di soprannome… era un’americana che ha lottato per far arrivare alle Olimpiadi anche le donne. Nel 1964 si svolgono le Olimpiadi per gli uomini a Tokyo, dove si sa bene che Geesink ha battuto il giapponese… e le donne entrano alle Olimpiadi ufficialmente nel 1992 a Barcellona con un secondo posto della Pierantozzi e c’era stata quattro anni prima, ’88, a Seul un’esibizione di judo dimostrativo delle donne e poi è diventato ufficiale. Adesso, a tutti gli effetti, siamo alle Olimpiadi. Cominciano gli auropei. Io faccio due categorie… perché ce n’erano otto di categorie, c’era anche l’open… senza limite di peso. Il giorno prima si facevano i pesi più grandi, per dar modo, il giorno dopo, di fare anche l’open… e io ho fatto anche la categoria open… il primo europeo non ufficiale è stato a Genova, dove c’erano anche tutte le udinesi che ti avevo nominato prima, la Pozzo, la Tommasetti… e io lì sono arrivata prima, battendo una francese. L’anno dopo c’erano questi europei ufficiali e ho fatto tutte e due le categorie e ho fatto due bronzi e poi che cosa succede? Succede che nel 1976 Osoppo e tutto il Friuli cade: il terremoto. E quindi per me è molto… cade la mia casa, cade tutto. Io non mi alleno, perché non è possibile… aiuto i miei genitori… soprattutto col morale… ho lavorato tanto in questo paesino…. I militari arrivano subito e scavano la tua casa fuori dalle macerie e ti dicono: questo lo puoi tenere, questo lo butti via… in più, c’era anche da fare, perché dovevi ricostruire la vita… e la cosa emozionante per me… adesso che sono vecchia lo posso anche dire… prima lo tenevo per me, ma è giusto che si sappia… io dicevo a mio padre, dopo aver lavorato tutto il giorno… eravamo in tenda – ho fatto sei mesi di tenda –: papà, io devo allenarmi, devo far qualcosa… siccome non c’era niente, non c’era la luce, non c’era niente, io ero davanti al furgone, a correre, e lui mi seguiva con le luci accese!” racconta con voce commossa.
“Poi succede che mi convocano in Nazionale… a maggio il terremoto, a dicembre vado a Vienna (ndr per i Campionati europei), faccio un bronzo e poi, il giorno dopo, l’oro negli Open. Grande risonanza del Messaggero Veneto… naturalmente, sai, dopo il terremoto, la rinascita… era anche quello… ritorno dopo dieci giorni, forse anche quindici, in palestra: non avevamo più il Maestro Kuroki, ma avevamo il Maestro Takata. Trovo i giornalisti in palestra, che ci fanno le fotografie insieme e a me chiedono due o tre cose, ma niente di che insomma… e comincia l’allenamento. E senti, ma io ne ho prese tante, ma tante, ma tante… che tu non hai la minima idea! Tante che, come posso dirti, proprio judoisticamente non mi faceva male, ma mi faceva cadere di continuo… venivo trattata… non so come dirti… ho pensato: devo aver combinato qualcosa! E non sapevo dentro di me che cosa avevo fatto. E non dicevo niente. Poi mi trattava male, non mi seguiva, mi diceva: tirati in parte! Io non capivo, mi veniva da piangere, proprio perché non capivo che cosa avevo fatto e mi spiaceva moltissimo! Alla fine, dopo due ore di ‘sta storia qua, ci mettiamo in fila per il saluto, lui viene vicino a me, era un uomo imponente, mi mette un dito vicino e ho detto: adesso prendo una sberla e non so neanche perché! E mi dice: tu ieri campione, oggi no! Alla giapponese, con il judo, lui mi ha detto: vedi, se vuoi continuare, devi continuare ad allenarti. Ieri questa medaglia l’hai fatta, ma adesso finito, si ricomincia. E quindi è una lezione grossissima! Ho cominciato a raccontarla quando ho iniziato a lavorare con i Cadetti” ride “A chi vinceva raccontavo questa cosa e rimanevano un po’ così! Ed è vero questo, no, perché, fatto una gara, se vuoi lavorare ancora devi ricominciare! E io credo che i ragazzi, anche quelli che hanno vinto ieri o oggi a Tel Aviv, stiano facendo proprio questo… quindi sono contenta di questi ragazzi!”
“Trovi che i ragazzi di oggi abbiano qualcosa da invidiare come stoffa a quelli di ieri?”
“No, come stoffa no… forse sono cambiate le generazioni, questo sì. Non sono tutti uguali, molti pensano che tutto sia dovuto e questo non va’ bene, bisogna dirglielo… il nostro sport è molto duro, molto formativo, ma dobbiamo, tecnici, genitori, famiglie, arbitri… tutti noi dobbiamo aiutarli a capire questo: il combattimento è proprio quello della vita: qualche volta si vince, qualche volta si perde, bisogna imparare a rialzarsi… non importa se si perde, basta avere la determinazione di ricominciare, ma non solo sul tatami, è evidente, ma in tutte le fasi della vita!”
“Tornando al discorso cui accennavi prima: arrivare alle Olimpiadi, per il judo, in particolare femminile, non è stato uno scherzo!”
“No, certo… negli anni ’70 c’era questa voglia di fare sport, non solo mia, di tante ragazze, che hanno trovato la possibilità di emergere, ma non per diventare più forti dei maschi… era proprio il piacere di fare sport, almeno per me… una cosa importante in tutto questo periodo è che ci sono state tante donne, ma anche tanti uomini, che hanno combattuto perché le donne potessero partecipare alle Olimpiadi. Una tra queste, lo ripeto, è stata l’americana Rusty Kanagogi, anche lei con una vita particolare… invito tutte le ragazze e i ragazzi a cercare su Internet questo nome e vedere che cosa è capitato a lei… le avevano impedito di fare una gara a squadre, perché era una gara maschile e lei si era presentata come donna, ma non le hanno permesso di iscriversi. Allora lei si è fasciata il seno, si è tagliata i capelli e ha partecipato, facendo il terzo posto, insieme alla squadra. Però le hanno tolto la medaglia (ndr perché avevano scoperto l’imroglio) e gliel’hanno restituita molti anni dopo, perché lei è diventata arbitro, è diventata istruttore e ha fatto una battaglia per le Olimpiadi. Ha impegnato la sua casa per organizzare il primo campionato del Mondo di judo femminile, a New York (ndr dove era nata e viveva)”
“Quello famoso in cui ha fatto medaglia Margherita De Cal”
“Esatto! Dove Margherita De Cal è arrivata prima, dove anche le altre italiane… io sono arrivata seconda... la De Novellis, la Fiorentini… vai a cercare i nomi, perché sono tutte ragazze che ancora amano il judo! L’Amerighi, la Fontana… siamo andate in questa New York e abbiamo partecipato al Campionato del Mondo. Dopo di che, alle medagliate, la Rusty ha mandato una lettera in cui diceva: per favore, voi adesso avete partecipato al Campionato del Mondo, ora scrivete al CIO (Comitato Olimpico Internazionale) e scrivete che volete partecipare alle Olimpiadi!”
“Che determinazione!”
“Sì! L’abbiamo fatto tutte, soprattutto le europee, ma anche le giapponesi, perché era veramente un campionato del Mondo importante! E quindi è partita questa battaglia per le Olimpiadi femminili. E adesso ci sono!” ride. “E le donne vincono ancora! La prima a fare la medaglia è stata la Pierantozzi, anzi, prima, nell’88, sono andate Maria Teresa Motta e Alessandra Giungi, che ha fatto terza… e poi nel ’92, la medaglia è stata fatta da Pierantozzi, che è arrivata seconda. E poi, mano a mano, sappiamo: Quintavalle, Scapin, Forciniti... mamma mia! Evviva le donne!!!” ride, ma si percepisce l’orgoglio per queste colleghe, amiche, judokas.
“Ce n’è una che oggi individui tra le giovani che proprio ha i numeri, secondo te?”
“Ce n’è molte. Ce ne sono molte e sono molto determinate. Ci sono appunto, queste generazioni in cui tutto è dovuto… ma ce ne sono anche molte che vogliono arrivare… e ce ne sono anche qua oggi!”
“Delle belle bestie!”
“Delle belle bestioline sì… e non è facile neanche per loro, ma non perché sono donne, ma perché comunque è veramente faticoso… queste ragazze vanno anche a scuola ed è importante che continuino anche la scuola, ma è importante anche che gli insegnanti capiscano di non interrogare ad esempio il lunedì dopo le gare… ci sono adesso delle agevolazioni, non per il 6 politico, ma per delle interrogazioni con il tutor, eccetera, attraverso il Ministero della Pubblica Istruzione e il CONI ci sono queste agevolazioni, dietro alle quali però c’è un criterio per essere seguiti da un tutor, ma solamente per le interrogazioni. Queste ragazze devono continuare a studiare” ribadisce “ma si possono fare tutte e due le cose”
“Secondo te è fattibile anche proseguire negli studi superiori?”
“Assolutamente sì, anche all’università! Poi dipende da cosa si studia, ma… l’università a volte la allunghi di più perché non si riesce diversamente… ma c’è gente che riesce a farlo, magari non con i tempi dovuti, allungando, ma io consiglio a tutti di continuare comunque a studiare. Ci sono adesso delle possibilità ulteriori, me lo hanno detto proprio oggi: c’è una ragazza del Friuli Venezia Giulia, la Momenté, che è a Bologna, che studia, fa ingegneria e ha ottenuto, grazie allo sport, il permesso di allungare l’università, cioè di farla senza andare fuori corso, pur mettendoci più tempo… voglio informarmi meglio, perché è la prima volta che lo sento anch’io oggi. Mi hanno detto: eh, ma lei lo fa part time. Probabilmente, penso io, hanno studiato un modo che permetta agli sportivi di non venir sfavoriti dal sistema. Quindi, ancora una volta, viva le donne! Aiutate però anche dagli uomini eh!”
“Certo, ci sono anche loro!” scherzo insieme a lei.
“No, guai se non ci fossero! Anche se siamo diversi… ma ci sono tanti giovani, anche maschi, veramente promettenti, lo si è visto adesso a Tel Aviv, lo si è visto ai Campionati del Mondo Junior. Comunque i giovani cadetti fanno sempre dei risultati ottimi! Anche nel 2018 hanno fatto grandi cose! Non dimentichiamoci però di tutti quelli che sono sotto, della base, che deve essere curata bene, quindi ci dev’essere buona formazione dei tecnici… e lo è buona adesso, perché abbiamo tante informazioni in più, quindi questo è essenziale per portare dei buoni prodotti… indipendentemente che poi uno arrivi a fare agonismo o meno… comunque il judo è positivo a 360° e da 5 a 90 anni si può fare, abbiamo l’oro in tasca per questo!”