Storie di Judoka: Glenda Galeoto quando il judo è famiglia
“Mi chiamo Glenda Galeoto, ho 18 anni e sono nata in una famiglia di judoka. Con un papàe uno zio,insegnanti tecnici, noi figli, non potevamo che essere destinati, già dall’età di tre anni, a mettere i piedi sul tatami del nostro club, l’ASD Judo Parabiago.”Cosìinizia Glenda, quando le chiediamo di condividere con noi la sua storia. Il papà di Glenda, Marziano,e suo fratello Heros,entrambi maestri 5° dan, sono, infatti, itecnici della società sopracitata, della quale loro padre, Pietro è statopresidente e,sul tatamicon loro, hanno portato sin da piccoli i loro figli: oltre a Glenda, Tecla, Nikolò e Kiara. Ma dopo questa doverosa presentazione della famiglia Galeoto, ridiamo ora la parola alla protagonista di questa storia. “Mio padre” – dice Glenda– “fu il primo tesserato dell’Asd Judo Club Parabiago – fondata nel 1976 da Attilio Mazzeo – e, per qualche anno, si è allenato da solo con il suo Maestro, seguendo una forte passione per questa disciplina e, solo qualche anno più tardi, mio nonnoPietro, si è a sua volta iscrittonella palestra, per ‘fare numero’ e, soprattutto, compagnia a mio padre.Io ho, poi,iniziato a fare judo, ovviamente in questa stessa palestra, crescendo tra risate, sgridate e pianti ma soprattutto imparando a non pronunciare mai frasi come‘non ce la faccio’ oppure ‘mi fa male’,ma continuando sempre ad allenarmi indipendentemente da tutto e sacrificandomi quando serviva. Il divertimento è arrivato con l’agonismo, quando riuscii a ottenere diversi risultati e di conseguenza soddisfazioni:tra questi ricordo ipiù importanti, come un bronzo con la squadra regionale al Trofeo Coni, treori al Torneo internazionale di Vittorio Veneto e due al Colombo di Genova, un oro al Trofeo Italia di Riccione e un bronzo al Trofeo Italia di Taranto.In quegli anni mi allenavo 5/6 giorni alla settimana e tutto sembrava andare bene ma purtroppo, un giorno, in cui stavo preparando i Campionati italiani e mancavano solo tre giorni alle finali, durante un allenamento, andai in arresto cardiaco scoprendo successivamente di avere un serio problema al cuore che da lì in avanti mi avrebbe impedito di svolgere attività sportiva, soprattuttoa livello agonistico. Da quel giorno nella mia vita cambiò tutto, tranne una cosa: l’amore per lo sport con il quale sono cresciuta e mi sono formata come persona. Nonostante inizialmente mi sembrasse una cosa impossibile–causa il furore agonistico che
sentivo rimbombare nelle vene –cercai un altro modo per essere nel judo e imparai a capire e conoscere i diversi ruoli di chi sta “a bordo tatami”, come aiuto per l’attività sul tatami, o allasegreteria della nostra società e, nell’ultimo anno, anche il compito del presidente di giuria, che mi ha fatto comprendere il mondo che si trova dal lato opposto di quello dell’atleta, che spesso si dà per scontato main realtà così scontato non è. Quello che ho certamente compreso è che il judo non è solo uno sport ed io ne sono la prova, perché sono certa che da alcune situazioni senza la testa dura, che il judo mi ha portato ad avere, non ne sarei uscita come invece ho fatto. Grazie a questa disciplina non ho imparato solo a praticare quello sport ma anche il valore del rispetto, lo spirito di sacrificio e come affrontaresconfitte o gestire levittorie, che mio padre ha sempre messo al primo posto.” Così Glenda ha concluso il suo racconto e non possiamo che esserle grati per aver voluto condividere un’esperienza di questa portata, mostrandoci come anche di fronte a una prova così dura alla quale la vita l’ha sottoposta in così giovane età, abbia saputo reagire e ripartire facendo bagaglio degli insegnamenti ricevuti in palestra e da una famiglia, come quella Galeoto, che con modestia e dedizione coltiva da decenni la pratica del judo nella nostra Regione.
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