È un bilancio positivo quello che è chiamata a fare Laura Di Toma sui campionati del mondo a Doha. Anzi, è il bilancio più positivo che il judo azzurro possa vantare da quando è stato introdotto l’attuale sistema di qualificazione olimpica, se non il più positivo di sempre per i numeri, che alla fine sono quelli che fanno la differenza.

Mai erano state conquistate quattro medaglie nei campionati del mondo.

Mai sette azzurri hanno gareggiato nel final-block dello stesso mondiale.

È anche la prima volta, a partire dal 2007 quando Marius Vizer ha rinnovato la IJF, che l’Italia entra (con il nono posto) fra le prime dieci nazionali nel medagliere dei campionati del mondo. 20230507 Scutto Medal

Ebbene, Laura Di Toma, il (o la) Direttore Tecnico della nazionale italiana di judo, è la figura che attraverso la sua storia personale può dire a pieno titolo “io c’ero”.

Perché Laura Di Toma c’era a New York 1980, quando l’Italia conquistò con Margherita De Cal il primo oro mondiale per il judo italiano.

Ed all’oro ci andò vicina anche lei, che mise al collo la medaglia d’argento nei 61 kg.

Quarantatre anni dopo, a Doha, è sempre Laura la figura di riferimento per il judo italiano che realizza un risultato che, finalmente, ha infranto quello che sembrava essere diventato un tabù: mai più di tre medaglie ai mondiali. Anzi, a dirla tutta, le tre medaglie risalivano ormai a tempi lontani, la citata edizione del 1980 con De Cal, De Novellis, Di Toma e poi Barcellona 1991, 32 anni fa, con il doppio oro di Alessandra Giungi ed Emanuela Pierantozzi con il bronzo di Giorgio Vismara, al tempo ignaro che un bel giorno sarebbe andato a fare il tecnico in Svizzera. Questa è un’altra storia, ma è stato proprio lì che Giorgio si trovò in palestra un ragazzino di 14 anni che accudì ed allenò fino a 2 anni fa.

E proprio a Doha, Nils Stump, questo il nome del ragazzino oggi 26enne ci ha dato un dispiacere.

Ma ritorniamo a Laura Di Toma che, da buona friulana, non rivendica meriti ma condivide tutto con tutti.

“Da sempre abbiamo cercato l’equilibrio tra le Società e la Nazionale, la Nazionale e le Società. –è il suo commento sul risultato ottenuto a Doha- E questa ricerca sta sicuramente portando risultati, anche se non è semplice. Si tratta di un lavoro che richiede più contatto, più collaborazione con i tecnici, con i preparatori, con i ragazzi... non ci siamo ancora per come si dovrebbe essere, ma questo è quello che si sta cercando di fare, almeno da parte mia”.

“Il lavoro di questi ragazzi talentuosi -ha aggiunto- arriva da lontano ed inizia con i loro tecnici, le società che li hanno accolti ed avviati alla pratica, cresciuti. Poi c’è stata una proficua attività internazionale cadetti e poi junior, ricordo a titolo simbolico i nomi di chi conquistò le tre medaglie d’oro ai mondiali junior nel 2018 a Nassau: Bellandi, Lombardo, Parlati. È imprescindibile il lavoro della base, delle società sportive, grandi o piccole che siano, perché è solo alimentando ed incoraggiando la passione alla base del nostro mondo sportivo che si possono poi ottenere soddisfazioni importanti come quelle avute in questo mondiale.

È importante, anzi mi correggo, è determinante la mentalità. Da parte di tutti, atleti giovani e meno giovani, tecnici, arbitri, dirigenti, tutti insieme possono e devono condividere un’ideale di crescita comune, nel rispetto dell’agonismo e dello spirito competitivo, ma l’obiettivo dev’essere vincere tutti, vincere insieme. A Doha abbiamo capito che funziona, ma il lavoro è solo all’inizio ed abbiamo ancora molto da migliorare”.