Roma, 18 ottobre 2021 – Durante i Campionati Italiani Assoluti di Kumite 2021, il PalaPellicone si è vestito a festa, non soltanto per l’importanza della competizione, ma anche per salutare Stefano Maniscalco, ufficializzando il suo addio all’attività agonistica. Maniscalco è stato uno dei più grandi atleti internazionali del mondo durante la sua carriera ventennale. Ha vinto di tutto, battendo record e salendo più di una volta sul tetto del mondo in differenti categorie di peso. In occasione del suo addio, ci abbiamo fatto una lunga chiacchierata, ripercorrendo la sua carriera, toccando i momenti più emozionanti e intensi ma anche quelli più difficili, come gli ultimi anni, e proiettandoci nel futuro. Quello che volevamo scoprire era se Stefano Maniscalco ha intenzione di continuare ad essere parte integrante del mondo del karate.

Ma, ora, lasciamo la parola al nostro grande campione.

 

Non c’è neanche bisogno di dirlo, sei stato un grandissimo del kumite nazionale e internazionale. Ci sono dei momenti della tua carriera che ricordi come più importanti o più emozionanti?

“Sono contento di aver vissuto questa carriera molto lunga. Ho iniziato nel 2000 e ho finito nel 2018 con la nazionale, anche se l’ultima gara l’ho fatta nel 2017. Una carriera costellata da tantissime gare, emozioni e vittorie. Per molti anni sono stato sul podio sia individualmente che insieme ad altri campioni, nella squadra. Ho fatto diverse categorie, tra cui i +80 kg, gli open e la squadra. Quando andavo in gara partecipavo a tre categorie. Ti faccio un esempio: uno dei momenti più emozionanti della mia carriera è stato il Mondiale vinto a Tampere nel 2006 dove affrontai, in tre giorni, 16 combattimenti tra la squadra, gli open e i +80. Tra questi 16 ne persi solamente uno, una semifinale, e vinsi oro e bronzo. Sono stato il primo atleta, insieme ad Aghayev, ad aver vinto due medaglie nella stessa competizione. Un altro momento emozionante è stato il Mondiale successivo, nel 2008, dove ho vinto al Budokan di Tokyo. Sembra una magia: al Budokan nel 1960 ci furono i primi mondiali, nel 2008 gli ultimi mondiali giapponesi e li ho vinti io e nel 2021 le prime Olimpiadi della storia del karate e le ha vinte Luigi Busà. Lì, vinsi nella categoria +80 kg dopo un infortunio al ginocchio accorso soltanto tre mesi prima, e negli open arrivai terzo. Sono stato dunque l’unico italiano a vincere due ori iridati di seguito e anche l’unico ad aver fatto quattro medaglie in due mondiali consecutivi. Fu davvero emozionante. Ricordo che il maestro Fujioka lo seppe subito e mi telefonò per dirmi “Stefano, sei grande”.  Fu importante, bisogna considerare che allora non c’erano i social e le notizie non arrivavano così velocemente. Avevamo soltanto un giornale mensile, l’Atlhon.”

 

Come si vivono gli ultimi anni di attività agonistica? Come ci si sente nel momento dell’addio?

“Gli ultimi anni della carriera li ho vissuti come tutti i grandi atleti che non vogliono mai mollare. Per un campione non è mai il momento di mollare. Tutti dicono che bisognerebbe mollare all’apice della carriera ma qual è il momento più alto? Un campione pensa che debba sempre ancora arrivare questo momento. Il mio sogno era vincere il Mondiale, essere il più forte ed essere un modello di prestazione per i giovani e per tutto il mondo del karate. E penso di esserci riuscito, anche a detta di molti tecnici internazionali. Nel 2005, ai Giochi del Mediterraneo, vinsi un oro nei +80 e un oro negli Open, e c’erano i rappresentanti del CIO che scrissero al presidente Espinos dicendo che se quello era il karate, così bello e forte, riferendosi a me, allora era uno sport che meritava le Olimpiadi. Espinos, poi, scrisse al compianto presidente Pellicone per complimentarsi proprio dell’atleta Maniscalco.   

In questi ultimi anni mi ha aiutato molto il mio grande amico Max Ferrarini che mi ha allenato e fatto da sparring partner. Con lui ho vinto due Campionati Italiani Assoluti e l’argento agli Europei del 2016, all’età di 34 anni. Vinsi contro il campione del mondo in carica, in semifinale, Enes Erkan.

Non sapevo mai quando finire. L’ultimo Campionato Assoluto è stato nel 2017, dove ho vinto l’oro. Nel 2018 sono stato convocato, per dare una mano, e poi sono stato un po’ meno considerato anche per le difficoltà del Covid. Il 2018 è stato il vero addio all’attività agonistica, ma la verità è che un fighter non dice mai addio davvero. Si può smettere in un certo momento ma poi chi lo sa: un fighter è sempre pronto per combattere. Da questo punto di vista sono un romantico. Il 2019 forse è stato l’anno peggiore, è perché nel momento di passaggio è sempre difficile identificarsi: non sapevo bene che cosa fossi. Avevo anche firmato le dimissioni con le Fiamme Gialle, il club più vincente del mondo. Da che avevo tutto: capitano della Nazionale, Fiamme Gialle, mondiali, europei, mi sono ritrovato in una scrivania a fare delle pratiche in una caserma. Poi c’è stato il covid tra 2020 e 2021 ed eccomi qui, ora, a festeggiare il mio addio alla carriera. È stata dura, ma sono anche cresciuto molto: ho visto da fuori cosa stava succedendo, ho visto chi mi è stato vicino e chi non c’è stato, ho visto il karate crescere molto e, finalmente, l’ho visto alle Olimpiadi.

Come dicevo, un karateka, un fighter, non smette mai di esserlo. Io, poi, ho avuto la fortuna di una carriera molto lunga. Sono entrato in nazionale a 18 anni con il primo Mondiale a Monaco 2000, di cui ho un ricordo stupendo, e ho visto passare generazioni intere: atleti come Benetello o Loria, che ora sono dirigenti e tecnici della nazionale. C’era il mio grande coach, Claudio Guazzaroni, il maestro Claudio Culasso delle Fiamme Gialle che mi è stato sempre vicino. Ancora oggi facciamo lunghissime passeggiate in cui chiacchieriamo e continua a darmi preziosi consigli. Lui ha creduto fino all’ultimo di potermi far fare la gara secca di Qualicazioni alle Olimpiadi, ma purtroppo quando l’atleta arriva al termine c’è poco da fare. Io, anche a causa degli infortuni, ero arrivato. Ma, nonostante ciò, ripeto che il karateka rimane per sempre un karateka. Il karate è vita, come diceva il maestro Fujioka. Infatti, io, sto cambiando attività: da atleta diventerò tecnico.”

 

Ecco, proprio questo volevamo sapere: resterai nel mondo del karate?

“Ebbene sì, rimarrò nel mondo del karate. Insieme al maestro Culasso e alle Fiamme Gialle, siamo finalmente riusciti a riaprire il Gruppo Sportivo dopo ben 19 anni. Quest’anno inizierò la mia nuova vita. Coe atleta sono stato l’ultimo, si può dire che l’ho chiuso io il Gruppo Sportivo, e da tecnico lo riaprirò. E mi piacerebbe dare anche un apporto alla Federazione Italiana FIJLKAM, vorrei dare qualcosa in cambio visto tutto ciò che la FIJLKAM mi ha dato. Mi ha preso da ragazzino, mi ha fatto diventare uomo e mi piacerebbe contraccambiare con la mia esperienza, i miei risultati e la mia competenza.”

 

Il karate non lo hai raccontato soltanto con le tue gesta sui tatami di tutto il mondo, ma anche attraverso il cinema. Il tuo prossimo film dovrebbe uscire a breve…

“In questi anni ho fatto moltissime cose. Insieme a Claudio Del Falco, un grande attore che fa dei film di arti marziali, nei abbiamo fatti due. Nel primo, Karate Man, interpreto Stefano Maniscalco, il campione del mondo, prodotto da Ipnotica con il grande regista Claudio Fragrasso. Fragrasso ha fatto, tra gli altri, Non aprite quella porta, Palermo Milano solo andata, Milano Palermo il ritorno, Teste rasate. Il secondo, che a breve uscirà nelle sale dopo due anni di inattività, è The Specials in cui interpreto un supereroe ipovedente. Infine, insieme ad Alex Pietrogiacomi, siamo in uscita con un libro che si chiama L’ultimo imperatore del karate. Non vedo l’ora di farveli vedere e leggere, perché quello che vorrei è essere un ambasciatore del karate e dell’Italia nel mondo.”