La mancata Olimpiade di Tokyo 1940 2ª parte

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Roma 9 aprile 2020 Pubblichiamo oggi la seconda parte di un avvincente racconto storico narrato dall’arch. Livio Toschi, nella sua veste di storico della FIJLKAM: quella delle Olimpiadi di Tokyo del 1940, accuratamente programmate ma non svolte a causa della Seconda Guerra Mondiale (oltre che quelle del 1944).
Sarà interessante scoprire una delle storie meno raccontate, ma al contempo meglio documentate delle Olimpiadi che non furono.

Buona lettura!

Abbiamo concluso il precedente articolo parlando dell’ultimo messaggio di Pierre de Coubertin. Il barone non fu mai “profeta in patria” e, sentendosi incompreso, abbandonò la Francia per un volontario esilio nell’eremo della villa Mon Repos a Losanna. Emulo di Scipione l’Africano («Ingrata patria, non avrai le mie ossa»), volle che il suo corpo fosse sepolto nel cimitero di Bois de Vaux a Losanna e il suo cuore, custodito in un’urna, nella stele eretta ad Olimpia nel 1927 in memoria della rinascita dei Giochi.
Dal 10 al 18 marzo 1938 si tenne al Cairo la XXXVIII Sessione del CIO: in verità, dopo l’inaugurazione di re Faruk al Teatro dell’Opera, le sedute si svolsero su un battello in navigazione lungo il corso del Nilo. Si decise, fra l’altro, di procrastinare di un mese l’Olimpiade estiva del 1940 (sabato 21 settembre – domenica 6 ottobre) e di fissare quella invernale a Sapporo dal 3 al 14 febbraio 1940. Conclusi i lavori del CIO al Cairo, alcuni congressisti si recarono a Olimpia, dove il 26 marzo si svolse la cerimonia della tumulazione del cuore di De Coubertin.

1. Tokyo 1940 Stadio Olimpico e Stadio del Nuoto
Duramente impegnato nella guerra con la Cina, il 16 luglio 1938 il Giappone dovette rinunciare ai Giochi, ma pubblicò ugualmente, nel 1940, un Rapporto del Comitato Organizzatore sui lavori preparatori per i Giochi della XII Olimpiade a Tokyo. Da questo Rapporto e dagli articoli comparsi sui quotidiani sportivi Il Littoriale e La Gazzetta dello Sport abbiamo ricavato molte preziose informazioni.
Per quanto riguarda gli impianti sportivi, oltre a quelli nel parco Meiji presso il tempio shintoista dove riposano l’imperatore Mutsuhito e sua moglie, erano già disponibili la Patinoire a Shibaura per la scherma e il Ryogoku Kokugikan a Honjo per il pugilato, la lotta e il sollevamento pesi. Furono progettati ex novo il velodromo a Shibaura, il poligono di tiro a Murayama, l’ippodromo a Setagaya, il campo di regate a Toda, il porto per le gare di vela a Yokohama, il palazzo dello sport (o Kishi Memorial Gymnasium) a Kanda per le gare di basket e ginnastica. Inoltre, sul campo di golf a Komazawa, si decise di costruire lo Stadio Olimpico per 100.000 spettatori e lo Stadio del Nuoto per 28.000, separati da una piazza per le cerimonie (26.400 mq), dominata da una torre monumentale. Alle spalle dei due stadi si voleva edificare il Villaggio Olimpico, con quelli collegato attraverso dei sottopassaggi.
La Commissione per la Propaganda aveva già scelto il logo (di Taiji Takamoto) e il manifesto, affidato al prof. Sanzo Wada dopo che l’apposito concorso non aveva soddisfatto appieno. Da maggio 1937 ad agosto 1938 furono pubblicati 16 numeri del mensile Olympic News in inglese, francese, tedesco e spagnolo.
La fiaccola olimpica da Atene sarebbe giunta via mare in Siria, passando poi per numerosi paesi e importanti città (Bagdad, Teheran, Kabul, Pechino, ecc.). Una volta arrivata dalla Corea al porto di Moji, a nord-est di Fukuoka, i tedofori l’avrebbero portata fino a Tokyo.
Allo scopo d’invogliare le varie nazioni alla trasferta in Estremo Oriente, il Giappone assicurò un credito di un milione e mezzo di yen a 3.000 dirigenti e atleti, limitando inoltre il costo per il soggiorno nel villaggio olimpico a un dollaro e mezzo giornaliero, pasti compresi. Erano pure previste riduzioni che avrebbero dimezzato le spese di viaggio. Per trasportare i partecipanti ai Giochi la maggiore compagnia di navigazione nipponica, la Yusen Kaisha, s’impegnò a costruire appositamente tre navi da 16.500 tonnellate ciascuna.
Se nel 1936 a Berlino furono donate delle piantine di quercia ai vincitori, a Tokyo si pensò di consegnare ai vincitori una spada e alle vincitrici uno specchio. Va sottolineato il grande valore simbolico di questi oggetti, che insieme alla gemma costituiscono le insegne imperiali del Giappone (Sanshu no Jingi o i Tre sacri tesori) e rappresentano il valore (la spada, che si chiama Kusanagi), la saggezza (lo specchio Yata no Kagami) e la benevolenza (la gemma Yasakani no Magatama). Secondo la leggenda questi oggetti furono portati sulla terra da Ninigi-no-Mikoto quando la nonna, la dea del sole Amaterasu, lo inviò a pacificare e riunire il Giappone. Divennero perciò il simbolo della divinità dell’imperatore, considerato il discendente di Amaterasu e come tale legittimato a governare il Paese. Il nipote di Ninigi, Jimmu Tenno, diede inizio alla dinastia imperiale (11 febbraio 660 a.C.).
2. Riunione del CO di Tokyo 1940
Pochi giorni dopo la rinuncia di Tokyo, consultati per telegramma i vari membri del CIO, il conte Baillet-Latour assegnò quindi i Giochi estivi a Helsinki. Tuttavia l’invasione sovietica della Finlandia nel novembre 1939 paralizzò i preparativi per lo svolgimento dell’Olimpiade. Helsinki tentò comunque fino all’ultimo di allestire i Giochi, specie dopo la pace conclusa con l’URSS il 12 marzo 1940, ma sotto l’incalzare della guerra non c’era più tempo per cavalleresche dispute sportive: nell’aprile 1940 anche la Finlandia dovette rimettere il mandato al CIO.

4. Tokyo 1940 Manifesto5. Helsinki 1940 Logo

Didascalie

In copertina Il logo dei Giochi di Tokyo 1940 (di Taiji Takamoto)

1. Lo Stadio Olimpico e lo Stadio del Nuoto. Sullo sfondo s’intravede il Villaggio Olimpico

2. Una riunione del Comitato Organizzatore. Alla sinistra di Jigoro Kano siede il principe Iyesato Tokugawa, presidente del Comitato

3. Il manifesto dei Giochi di Tokyo 1940 (di Sanzo Wada)

4. Il logo dei Giochi di Helsinki 1940