Giulia Quintavalle e il primo anno da IJF expert

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20230106 WinCamp 2Tra i tecnici esperti che insegnano all’IJF Academy da più di un anno si è ben inserita anche la livornese Giulia Quintavalle. Aria riservata, che si scioglie in uno spontaneo sorriso appena prende un minimo di confidenza, Giulia trasmette energia positiva e tanta voglia di mettersi in gioco con umiltà, ma anche consapevolezza del suo percorso agonistico.

Oro olimpico a Pechino 2008, prima donna italiana a conquistare questa medaglia nella storia dei giochi, campionessa europea a squadre nel 2010, quinta a Londra 2012, la “signora del judo” non ha bisogno di presentazioni. Due figli col marito, il messinese Orazio D’Allura, ex atleta nazionale e pluricampione italiano assoluto, che insieme a Giulia è l’anima del KDK Cecina e che ha sempre sostenuto e incoraggiato Giulia.
Nel complesso una vita piena e più che soddisfacente.

E poi la scelta di rimettersi in gioco, iniziando il percorso IJF come allieva prima, come tecnico in seguito.

Giulia, quando hai iniziato l’esperienza IJF e come sta andando?

Ho iniziato a maggio 2022: sono stata una volta a Istanbul, a settembre ero a Madrid e a dicembre scorso sono stata a Budapest. Mi piace tantissimo, è un modo per completarsi: quando fai judo e sei un agonista sottovaluti un po’ certe cose, il tuo scopo principale è raggiungere gli obiettivi che tutti i grandi atleti si pongono, andare ai Mondiali, vincere le Olimpiadi… Quindi il mio focus da atleta era quello, mentre dietro il judo c’è un mondo che sto iniziando a scoprire ora. Mi piace tanto perché ti dà la possibilità di formarti e quello che hai fatto in un’altra maniera ora lo sviluppi sul campo da insegnante. È una parte di formazione importante non solo come allenatore, ma anche come persona.

Perché consiglieresti a qualcuno di intraprendere un percorso IJF da studente?

Perché penso sia il modo migliore per ampliare la propria formazione. Dopo un’esperienza del genere in cui, in una settimana, riesci a capire, dopo tutti gli anni che hai praticato questo sport, da dove viene, cosa c’è dietro a tutte le tecniche e alle soluzioni che hai trovato, senza magari dargli un nome e senza saperne la storia, penso che acquisisci un valore in più. Se poi diventi anche un tecnico IJF, diventa importante conoscere bene tutte le tecniche e sapere trasmettere le basi di questo meraviglioso sport.

Come ti è venuta l’idea di diventare un insegnante IJF?

Avevo già fatto il corso di primo livello, da allieva, a Malta nel 2018 insieme ad altri campioni, tipo Pino Maddaloni, Rosalba Forciniti, Lucia Morico… poi mi è stato proposto di diventare un “expert” e ho accettato subito, perché non mi piace dire di no, ho una mentalità abbastanza aperta e penso che sia il modo migliore per crescere. Mi sono detta “perché no?” e mi sono buttata subito in mezzo! Poi, insomma, al fianco di Lascau, al fianco di Huizinga, Bradic e ora anche Tina Trstenjak… sono grandi personaggi, non solo sul tatami, sono grandi persone al di fuori. Per non parlare di Galea e di Tibor [ndr Kozsla]! Mi sento veramente in una grande famiglia, sono molto accoglienti e ospitali, ti fanno sentire a tuo agio e quindi quando vado lì sono serena. E questa cosa qui mi dà la possibilità di formarmi in prima persona, ma anche di osservare tanti tecnici, che poi sono sulle materassine di tutto il mondo per le competizioni ogni settimana. È una bella soddisfazione quella di condividere con loro questo momento di formazione, che non penso sia un punto di arrivo, quanto un punto di partenza per tutti, un modo per evolvere, per crescere a livello mondiale. Infatti l’idea è nata per questo, per far sì che il judo sia globale, che, a livello mondiale tutti parlino la stessa lingua, tutti abbiano le stesse basi e quindi penso sia il modo per eccellere.

Ti senti mai intimidita dalle domande che gli allievi ti pongono?

Sinceramente, faccio le corna [ride], a me non è mai capitato che mi facessero delle domande scomode… però, a volte mi domando come mai le persone fanno delle domande che non hanno tanto senso… comunque sono serena, perché spero di avere sempre la risposta pronta e, soprattutto corretta!

Hai incontrato delle difficoltà all’inizio nell’insegnare in lingua inglese?

Da buona italiana all’inizio devo dire di sì, proprio nell’esprimermi: spiegare le sensazioni, il movimento del corpo, le direzioni… tutto sta nel fare pratica. La difficoltà è soprattutto quella, riuscire a trasmettere quella che è la tecnica, con tutte le sue sfaccettature, in inglese. Poi, però, sai, il judo fa parte della mia vita, per cui quando si fa tecnica non trovo questa difficoltà e lì mi piace! E poi è bello capire tutte quelle cose cui magari da atleta non ci hai fatto caso, come i suffissi in giapponese, che poi alla fine in un colpo d’occhio ti svelano il significato della tecnica… a saperlo prima! [ride]

Si può dire che quest’esperienza sta cambiando il tuo modo di insegnare?

Mi aiuta ad ampliare un po’ quello che è il mio bagaglio di esperienza e tecnico, mi dà soluzioni in più e visioni diverse.

Il programma che presentate in giro per il Mondo è già prestabilito?

Sì, abbiamo cento tecniche da spiegare e mostrare davanti agli allievi.

E in contesti diversi, come nei camp privati, che cosa metti nel programma, avendo più libertà d’azione?

Dipende. A volte parto dalle basi, magari con ragazzi più giovani, procedo con una progressione sempre più tecnica e, in alcuni casi, spiego il mio speciale. Dipende molto da chi hai davanti, da come è composto il parterre di allievi, dalla loro età e dall’esperienza, quindi mi adatto di volta in volta.

In campo internazionale ti poni come insegnante degli insegnanti. Se dovessi farlo in un contesto nazionale, da dove partiresti?

Sicuramente dalle basi e poi salendo di livello, perché ognuno ha la propria esperienza, la propria formazione, però tante cose magari uno ci passa sopra o è un po’ superficiale. È difficile trovare una platea omogenea e che sia già specializzata in tutto, per cui proporrei qualcosa di basico e poi sceglierei la direzione più adatta per dare uniformità e una visione un po’ più globale.

Che cosa senti che manca agli atleti ai camp cui partecipi e che cosa ritieni riescano a portarsi a casa una volta che hai finito la lezione?

Cerco di dargli dei suggerimenti, ma a volte le cose da dire sarebbero tante e il tempo è poco, quindi faccio fatica. Poi ci sono i ragazzini che apprendono subito, quelli che ci mettono di più, qualcuno che ha lavorato di più sulla tecnica, qualcuno che ci ha lavorato meno ed è più preparato sulle prese… insomma, venendo da club diversi ognuno è specializzato su cose diverse, per cui renderlo globale è difficile, quindi cerco di dare degli input semplici, delle pillole che poi si possono riportare a casa. Ad esempio molto spesso manca il cambio di direzione o lo squilibrio, per cui fanno gli attacchi senza aver squilibrato: prima si dovrebbe partire da quello e poi arrivare alla tecnica. Una volta che capisci com’è il movimento, la direzione e lo squilibrio, è facile spiegare la tecnica, ma se non hai quelle basi, recuperarle da adulto è molto complesso.

Pensi si punti a saltare dei passaggi per ottenere un risultato più rapido e spingere sull’agonismo?

Spesso e volentieri si fa questo errore, invece dobbiamo curare di più la tecnica e andare passo dopo passo: oggi si brucia le tappe molto velocemente.

Fino a che età bisognerebbe lasciare libero l’atleta di sperimentare e di apprendere bene le basi?

Oggi è difficile… già esordienti A e B li devi preparare, perché poi diventano cadetti… il mondo è completamente diverso. Ma anche già il passo di quando diventi esordiente A è completamente diverso rispetto a quando uno è bambino, quindi si cerca tutti un po’ di correre, come nella quotidianità. Ci dovremmo un po’ soffermare, nelle fasce di esordienti e lavorare di più sulla tecnica, però è difficile perché il tempo è poco, i ragazzi sono sempre più impegnati (c’è la musica, il catechismo…): è difficile incastrare tutto oggi! Ci sono tanti stimoli e tante distrazioni.

Trovi che possa avere un peso anche il poco tempo che oggi i genitori, spesso, hanno da dedicare ai ragazzi e la loro conseguente minor disponibilità ad accompagnarli o a essere presenti?

Sicuramente prima tutti avevano più tempo, oggi meno. Però ci sono quelli che sono appassionati e che si dedicano e che pensano che la scuola e lo sport siano l’unico modo per educare i figli.

Anni fa hai scritto un libro a quattro mani con tua cognata, “La signora del judo”. Ora che hai intrapreso una nuova strada stai valutando di scriverne un altro?

Al momento no, ma può essere che tra qualche anno lo faccia, perché è stata una bella esperienza, divertente e poi, insomma, anche quello rimarrà e quindi quando hai la carta scritta hai un qualcosa che si può tramandare.

Il segno che hai lasciato nel judo lo conosciamo tutti, ma cosa vorresti, al di là dei tuoi risultati agonistici, che venisse ricordato di te?

Sono contenta già di quello che ho lasciato e spero che verrà ricordato sempre, ma essendo stata la prima donna [ndr a vincere una medaglia d’oro nel judo alle Olimpiadi] credo di sì. Da donna sento di aver raggiunto un traguardo importante, anche con difficoltà, perché siamo sempre state messe in disparte e dietro le quinte, mentre anche noi possiamo dare tanto e raggiungere i nostri obiettivi. Io sono stata un esempio e spero di esserlo ancora per altre donne. Vedo che ora tante ragazze mi stanno seguendo, nel senso che abbiamo grandi atlete donne oggi, quindi penso che siamo sulla scia giusta e faranno la loro storia, com’è giusto che sia. Sono contenta di esser stata la prima a dare il là!

È un piacere, ma anche una responsabilità in qualche modo?

Sì un po’ sì, però io la vivo con serenità, nel senso che sono contenta di essere a tutt’oggi un esempio e che le ragazzine mi vedano come tale, perché penso di essere sempre stata una ragazza coi piedi per terra, che si è sempre sacrificata per ottenere i suoi risultati, ma allo stesso tempo non ho trascurato i rapporti con le persone: sono sempre stata chiara, serena, rispettosa e mantenere questa serenità malgrado io abbia raggiunto un grande risultato credo sia già di per sé un esempio importante.

Hai ancora qualche sogno nel cassetto?

Sogni… ho degli obiettivi miei personali… con il mio club di creare dei futuri campioni, perché l’impegno è tanto e so che oggi è difficile perché anche l’attività è tanta. Quindi spero che tutto il lavoro che facciamo, come è per tutti i club, abbia un seguito e dia un frutto. Però se non ci dovessi riuscire, l’importante è creare delle persone per bene, delle persone rispettose, che sappiano stare nella società e si sappiano comportare. Il mio intento è creare dei campioni, ma anche persone che siano vere.

Fonte: FIJLKAM fvg