Judo

Social Inclusion, la Scampia di Gianni Maddaloni raccontata a Lisbona

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Ostia, 5 dicembre 2012. Il tema “Social Inclusion”, trattato nei giorni scorsi a Lisbona nell’ambito del congresso organizzato dall’Unione Europea Judo in collaborazione con la federazione del Portogallo, è perfettamente aderente all’esperienza che ha caratterizzato la lunga carriera del maestro di judo Gianni Maddaloni. Chiamato a fare parte di un tavolo di relatori ampio e qualificato, il maestro Maddaloni ha portato la sua straordinaria testimonianza a questa nuova interessante iniziativa promossa dalla Commissione Didattica EJU guidata da Franco Capelletti. Padre del campione olimpico 2000 Giuseppe Maddaloni, oltre che di Marco e Laura, a loro volta atleti di livello internazionale e tecnico del Centro Sportivo che porta il suo nome, dedicato ai giovani con difficoltà di inserimento sociale, Gianni Maddaloni ha raccontato la storia del suo progetto al “Social inclusion seminar” a Lisbona. “Dietro ogni medaglia conquistata c'è tanto lavoro. Scampia è un quartiere di Napoli con 100.000 abitanti e poche opportunità di crescita. In quel quartiere ci lavoro da molto tempo, ma il riconoscimento di quanto è stato fatto è arrivato solo quando mio figlio Pino ha vinto la medaglia d'oro a Sydney. Fino ad allora c’era una precisa volontà di allontanarmi da Scampia, una realtà cui sono sempre stato molto legato dato che anch’io quando ero un ragazzo ne facevo parte ed ero, in qualche modo, un escluso. Quando ero giovane infatti, vivevo a Scampia dov’eravamo circondati dalla criminalità organizzata, dalla Camorra, che a quel tempo però almeno poteva contare su delle regole, dure, ma chiare e riconoscibili, mentre adesso sono più criminali che mai. A lungo sono stato inquadrato come un nemico e mi è stato impedito di creare un dojo, e questa è una storia in cui il contesto e le circostanze sono essenziali. L’amore per il judo mi fu infuso dal mio maestro, che 40 anni fa, mi insegnò le regole ed il rispetto. È a lui che devo tutto. Ma non è sufficiente avere un progetto, per riuscire a realizzare qualcosa, perché è molto importante che il percorso sia fatto da tutti assieme. E se oggi mi trovo qui è perché voglio imparare da chi ne sa più di me, esattamente come accade sul tatami, nel judo. Con i miei figli ho percorso questa strada, e la mia esperienza come maestro volge ormai alla fine, ma in questa sala posso vedere molti campioni, e sono loro che devono essere un esempio ed un modello, perché Scampia non è solo nel sud dell’Italia, ma Scampia è ovunque nel mondo. E’ fondamentale andare nelle scuole e spiegare la morale e l’etica, in questo modo i principi del judo possono arrivare prima all’individuo e formare poi l’atleta. Ho scritto anche un libro sulla mia vita e c’è un regista che ne sta facendo un film, ma al di là di qualsiasi possibile guadagno, la vita non ha prezzo ed è molto più importante del denaro. La sola cosa che conta, è di avere fatto qualcosa per la comunità, è poter offrire ai genitori un’iscrizione al club di 20 euro senza considerare il numero dei figli che hanno, è dare lezioni gratuite ai bambini in cui insegnare la differenza tra il bene personale ed il bene comune, e far capire al mondo che anche i bambini della camorra sono contro la violenza. Con noi ci sono giovani criminali, liberi, in attesa di giudizio che nel dojo riusciamo a far parlare nel tentativo di inserirli nel mondo del lavoro, allontanandoli dall’attività criminale. Con noi ci sono anche bambini con disabilità che lavorano assieme agli altri bambini, perché non credo nella diversità, siamo tutti uguali. Il nostro dojo è come una famiglia e tutti noi lavoriamo per un obiettivo, che è quello di porre fine alla criminalità o almeno combatterla. Vorremmo che Scampia diventasse una città normale. Il nostro sogno è di ingrandirci ed arrivare ad avere 10.000 persone sul tatami. Le azioni sono più importanti delle parole – ha concluso Maddaloni - in particolare per me che non sono bravo con le parole".

 

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