Le antiche Olimpiadi (III)

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Roma 21 maggio 2020  Pubblichiamo oggi un nuovo avvincente racconto storico narrato dall’arch. Livio Toschi, nella sua veste di storico della FIJLKAM. Buona lettura!

Atleti imbroglioni e venali

Il primo caso di deliberata scorrettezza nello sport è attribuito ad Antiloco, figlio di Nestore, che nella corsa dei carri ai giochi funebri in onore di Patroclo fece sbandare Menelao per superarlo [Iliade, libro XXIII]. Ovviamente si arrabbiò molto il re di Sparta, che già aveva i suoi guai coniugali da risolvere.
Neppure a Olimpia – nonostante il giuramento iniziale nel Bouleuterion – mancarono casi d’illecito, puniti con ammende utilizzate per erigere statue di Zeus in bronzo, che prendevano il nome di zanes. Collocate tra il Metroon e l’ingresso allo stadio, ai piedi dei Tesori, oggi sono tutte scomparse, ma ci restano 16 basi in pietra. L’iscrizione apposta su una di esse ammonisce che «a Olimpia si vince con la velocità dei piedi e con la forza del corpo, non con il denaro».
Il primo illecito di cui si ha notizia ai Giochi risale al 388 a.C. (XCVIII Olimpiade) e riguarda il pugile tessalo Eupolo, che pagò tre concorrenti per ottenere la vittoria. Nel 332 a.C. l’ateniese Callippo corruppe i suoi avversari nella gara di pentathlon, ma Atene – dimostrando poca sportività – per non pagare la multa fece intercedere, inutilmente, il celebre oratore Iperide. Sia Eupolo che Callippo, corruttori, vennero puniti con una multa salata (che colpì anche i corrotti), ma il loro nome rimase negli elenchi dei vincitori! Solo nel 68 a.C. Stratone di Alessandria ottenne la corona nella lotta per la squalifica di due avversari: Eudelo e Filostrato di Rodi. Nel 12 a.C. il padre di Polictore di Elide, che gareggiava nella lotta dei fanciulli, corruppe il padre di Sosandro, avversario di Polictore, ma il fatto trapelò e i due disonesti genitori vennero giustamente multati.
La compravendita delle vittorie crebbe con il passare degli anni (ma a Olimpia, tutto sommato, i casi rimasero limitati), anche per colpa dei cattivi allenatori, “mercanti dello sport”, come li definiva Filostrato.

1. Zanes a Olimpia

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Oltre agli illeciti vanno ricordati anche i passaggi da una città all’altra per avidità di guadagno. Ogni concorrente, al momento dell’iscrizione, dichiarava liberamente la propria cittadinanza e i giudici (ellanodikai) si limitavano a prenderne atto. Astilo di Crotone (già primo nello stadion e nel diaulos nel 488 a.C.) per compiacere Gelone, tiranno di Siracusa, nel 484 e nel 480 vinse complessivamente cinque gare per la città siciliana. I Crotoniati lo considerarono un traditore: pertanto rovesciarono la statua eretta in suo onore nel santuario di Era Lacinia e trasformarono in una prigione la sua casa. Fallì, invece, il tentativo di Dionisio I nel 388 a.C.: sebbene con il denaro avesse convinto il padre del pugile Antipatro di Mileto, questi rifiutò di dichiararsi siracusano. Nel 380 a.C. fu il cretese Sotade, vincitore della corsa di resistenza per la seconda volta, a tradire la sua patria per denaro.
Un altro genere di multa toccò al pancraziaste Sarapione di Alessandria nella CCI Olimpiade: «Fu a tal punto preso dal timore dei suoi avversari che fuggì un giorno prima che il pancrazio fosse convocato». Venne perciò multato per codardia.
Nel 93 d.C. Eraclide di Alessandria vinse la gara di pugilato perché il concittadino Apollonio “Rhantes” fu squalificato per aver mentito sul suo arrivo in ritardo a Olimpia. Come rivelò ai giudici lo stesso Eraclide, l’avversario non era stato trattenuto nelle Cicladi dai venti contrari, ma si era attardato per vincere premi nelle ricche gare organizzate nella Ionia. Escluso dalla competizione per la menzogna, Apollonio si vendicò assalendo e picchiando Eraclide, appena quello fu incoronato dagli ellanodici.
2. Pancraziaste che si arrende

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Conosciamo tutti il motto attribuito al barone de Coubertin: «Alle Olimpiadi ciò che importa non è vincere, ma partecipare». I giochi dell’antica Ellade erano ben lontani da questo spirito! Per i Greci non contava nulla piazzarsi e nemmeno arrivare secondi (che alcune città consideravano comunque come un’onta): era importante soltanto la vittoria, da ottenersi anche con l’astuzia (metis), ma per molti usando qualsiasi mezzo, quindi infischiandosene altamente del fair play. Persino gli dei intervenivano con ogni tipo di scorrettezza per favorire i propri beniamini: Atena, per esempio, fa scivolare Aiace Oileo presso il traguardo e consente a Ulisse di vincere la gara di corsa durante i giochi in onore di Patroclo [Iliade, libro XXIII].
Insomma, come ha con efficacia sintetizzato lo storico Karl-Wilhelm Weeber, «solo chi vince non perde». O, per citare il “Drake” Enzo Ferrari: «Il secondo è il primo degli ultimi». Gli atleti, d’altra parte, dopo il giuramento di lealtà pregavano Zeus perché concedesse loro la corona o la morte.

3. Tribuna dei giudici a Olimpia3.

Didascalie

1. Le basi delle statue di Zeus in bronzo (zanes) erette presso l’ingresso allo stadio (visibile sullo sfondo) con i denari delle multe pagate dagli atleti che truccavano le gare

2. Pancraziaste che si arrende. Sulla destra, munito di una sottile verga, si nota il giudice (chiamato “ellanodico”). Anfora del VI secolo a.C. – Museum of Fine Arts, Boston

3. Ciò che resta della tribuna dei giudici nello stadio di Olimpia