I medici della Lotta in prima linea contro la pandemia

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Roma, 27 aprile 2020 – In un periodo come quello che stiamo vivendo, frustrato dalla pandemia e da tutte le conseguenze inevitabili, lo sport, come sempre, tira fuori le sue virtù. Nel mare di condivisione dei valori della solidarietà e dell’amicizia, che già caratterizzano i nostri sport nella normalità, sono proprio le discipline sportive a dimostrarsi le più complete e le più adatte a rimanere forti nei momenti del bisogno.

È un esempio lampante, il caso di molti coraggiosi medici del Wrestling mondiale che, in questi giorni, sono in prima linea nella battaglia contro la pandemia da Covid-19. Da tutto il mondo, i casi dei medici della Lotta impegnati nella ricerca, o direttamente sul campo, dimostra che la comunità del wrestling è sempre stata più grande dei soli lottatori e delle sole materassine.

“Siamo sempre stati grati ai nostri medici, ma voglio che ci prendiamo un momento per celebrare il loro contributo e sacrificio. – ha detto Nenad Lalovic, presidente della UWW – Siamo davvero orgogliosi.”

È il caso del dottor Babak Shagdan, capo della Commissione Medica della UWW, che sta portando avanti, insieme alla University of British Columbia del Canada, un progetto di ricerca per sviluppare un biosensore per lo screening e il monitoraggio dei pazienti da Covid-19.

O del dottor Loukas Konstantinou, altro membro della Commissione Medica della UWW, che sta aiutando molti pazienti, inclusi quelli contagiati dal Covid-19.

E non sono i soli. Un largo numero di medici della Commissione Medica della UWW è attivo nella lotta al virus: dr. Stevan Sikimic, pneumologo; dr. Stefan Strugarov, chirurgo; dr Klaus Johann, chirurgo ortopedico; dr. Abdelghani Chahi, cardiologo; dr. Jose Padilha, chirurgo; dr. Kohei Nakajima, chirurgo ortopedico; dr. Mika Lehto, cardiologo; dr. Carol Maitre; dr. Irina Dulepova; dr. Elena Abaeva.

Un medico in prima linea, come sappiamo, corre il rischio del contagio.  Il dr. Sadegh Mahboubi, della Commissione medica, impegnato nel trattamento dei pazienti in Iran, ha per esempio contratto il virus. “Non volevo occupare un letto dell’ospedale, così ho fatto la quarantena a casa visto che mia moglie è un dottore. – racconta il dr. Mahboubi – Se fosse stato un incontro di lotta, immagino che avrei perso, ma ora sono di nuovo a lavoro per aiutare”.

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