Il Ju Jitsu in Italia

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Roma 28 aprile 2020 Con questa prima puntata si apre un’ulteriore appuntamento storico, quello con il Ju Jitsu. Il maestro Giancarlo Bagnulo, prendendo spunto dal suo libro del 2015 “Ju Jitsu metodo Bianchi” edito da Luni Editrice, ci farà partecipi di un viaggio affascinante nel percorso che la “dolce arte” ha fatto per arrivare in Italia e per muoversi nel nostro territorio fino a diventare la disciplina che tutti conosciamo e che fa parte della nostra grande Famiglia Federale.
Buona lettura

Le origini della diffusione del Ju Jitsu in Italia sono strettamente legate alla storia del pioniere per eccellenza della “Dolce Arte” Biagio Bianchi detto il “U sciù Gino Bianchi”.

Gino Bianchi

Nato a Genova il 14 giugno del ’14, figlio unico, Bianchi lavorava come magazziniere presso una piccola fabbrica; successivamente partì militare come marinaio e fu anche imbarcato sulla nave da guerra Diaz ; al rientro dalla guerra lavorò come “bidello capo di ruolo” in una scuola media di Genova e proprio in questo periodo creò la sua scuola.

Il Signor Bianchi, come veniva allora chiamato dai suoi allievi ed estimatori, durante la guerra e la permanenza nella colonia giapponese di Tien Tsin, venne in contatto con una arte marziale che egli stesso, anni dopo, insegnerà e divulgherà in patria col nome di “Dolce Arte” : il Ju Jitsu .
Vantando la propria abilità nella Savate , il Signor Bianchi si rese conto dell’efficacia delle tecniche di JJ basate non sull’offesa, ma bensì sull’autodifesa. Non ci è noto quali siano state le koryu (scuole tradizionali giapponesi) che abbiano influenzato il “sapere” del Maestro. Si racconta però che presso la Caserma Ermanno Carlotto, che fu realizzata a Tien Tsin per ospitare le truppe italiane in Cina, avesse avuto occasione di entrare in contatto con l’addestramento di istruttori militari giapponesi e che questo gli avesse permesso di approfondire la tecnica usufruendo dei periodi di franchigia per allenarsi durante il “soggiorno” in Cina. Rientrato a Genova "u sciù ” Bianchi iniziò la “messa a punto” del suo metodo e nel 1946 presso l’Istituto Vittorino da Feltre dei padri Barnabiti, nel centro di Genova, cominciò iniziò la sua “avventura”.
Fu in un locale di pochi metri quadri che, quello che oggi è internazionalmente riconosciuto come il “Metodo Bianchi” prese forma e vide luce.

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Scrive il Maestro nella prefazione del suo libro “La Dolce Arte del Samuray ad uso degli occidentali” : “ I pregi di questo mio metodo potranno essere bene apprezzati da coloro che lo seguiranno con passione attenendosi scrupolosamente alle mie spiegazioni in relazione alle applicazioni da me attentamente vagliate per ciò che si riferisce alla sostanza ed alle varie finalità. Avranno campo di constatarne la sua utilità sia in fase sperimentale che pratica. Da parte mia posso a rigor di termini affermare che questo metodo di difesa personale, non solo è minuzioso nei suoi particolari ma è anche di grande praticità. Infatti, gli esercizi sono stati regolati secondo la logica in relazione a progressivi sforzi mentali, di modo che colui che si accinge a seguire il metodo con la ferma intenzione di “riuscire” può procedere nello studio con una certa gradazione e senza difficoltà di sorta. Perciò sono sicuro, con questa innovazione, di aver introdotto un nuovo stile per la serena riuscita nel campo della lotta giapponese.
Essendomi reso conto delle difficoltà che incontrano gli Occidentali all’adattarsi ad alcune discipline Orientali, per le diverse abitudini di vivere e pensare, venni nella conclusione di fare in modo che ogni Occidentale potesse essere introdotto alla conoscenza  dell’autodifesa senza intaccarne le abitudini, e senza deviarlo dai suoi rituali movimenti ed in particolare senza costringerlo a fare cose che la sua origine di Occidentale non gli permettesse di fare. Insomma “orientalizzarlo” quel tanto che basti per certi tipi di esercizi.”

Nel 1948 la Scuola del Maestro Bianchi si insedia in quella che diventerà nel tempo la sede principale e punto di riferimento del Ju Jitsu in Italia: la palestra di Salita Famagosta.

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Scriveva sul “ Genovasport “ un cronista del tempo : - In Salita Famagosta nel “covo del jiu jitsu”- L’istruttore ginnico ordina piegamenti, torsioni, flessioni, movimenti delle braccia, delle gambe; e gli atleti, i lottatori, gli allievi, seguono in silenzio l’esempio dell’istruttore. Si sente il ritmo deciso, forte, della respirazione e nell’aria l’odore dei muscoli caldi, sudanti sotto lo sforzo. Dagli corda, segretario, grida l’istruttore al giovane in tuta che siede in un angolo, indaffarato tra registri e libercoli, e quello corre colle mani alla manovella del grammofono e la musica di sapore orientale, che accompagna gli esercizi, torna squillante e ritmata. Il locale che funziona da palestra è in Salita Famagosta. Si sale da via Balbi. Una straducola ardita: un po’ di fiato grosso, non certo per i giovani. Del resto tutti giovani quelli del Club Lotta Giapponese, e più che mai arzillo e scattante il Maestro Gino Bianchi, un ometto tutta energia, volontà e passione sportiva, dai modi cordiali e gentili.”

- continua -

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